Categoria: Attacco di panico

16.11.07

Domande sulla terapia cognitivo comportamentale del Disturbo di Panico

Per chi è indicata la terapia cognitiva comportamentale?

1. Per pazienti che hanno risposto parzialmente o non hanno risposto alla terapia farmacologica,
2. Per chi desidera sospendere i farmaci,
3. Per coloro che soffrono di panico con o senza agorafobia e non hanno iniziato nessun trattamento,
4. Per chi desidera capire quali fattori hanno determinato o mantengono il panico e predispongono a eventuali ricadute,
5. Per coloro che desiderano acquisire tecniche utili per gestire i sintomi dell’ansia.

QUANTO DURA IL TRATTAMENTO?

Il trattamento cognitivo comportamentale specifico per il panico offre benefici dopo un breve periodo di tempo, di 12 –15 incontri.

E’ EFFICACE?

In accordo con il National Institute of Mental Health (1993), numerose ricerche hanno dimostrato l’efficacia della terapia cognitiva comportamentale per il trattamento del disturbo di panico con o senza agorafobia. Inoltre, i risultati ottenuti vengono mantenuti nel tempo.

Perché prestare attenzione alle sensazioni corporee è un atteggiamento negativo che va eliminato?

Una volta che l’attacco di panico è avvenuto, la persona presta attenzione in modo “selettivo” al proprio corpo al fine di cogliere i primi segnali di ansia.

La persona è convinta che tale atteggiamento sia utile al fine di mettere in atto strategie che possono evitare il panico. Ad esempio: la persona si concentra sulla respirazione per verificare se respira bene e se ha abbastanza aria. Questi pazienti interpretano l’affanno e la mancanza di aria come segni di soffocamento. Per evitare di morire soffocati respirano profondamente e controllano il proprio respiro per prevenire le conseguenze temute. In realtà, facilitano così i sintomi dell’iperventilazione, quali capogiri, fenomeni dissociativi, aumento della mancanza di respiro, …

Se l’idea era quella di prevenire un attacco di panico, in realtà attiva egli stesso i sintomi dell’ansia.

Le conseguenze negative dell’attenzione selettiva al proprio corpo sono:

1. la persona vive in uno stato di continua tensione ed allerta
2. è spesso concentrato sul suo corpo
3. non è attento a ciò che lo circonda
4. percepisce sensazioni che in realtà non avvertirebbe se si concentrasse sul mondo esterno
5. ha paura dei sintomi che avverte e tende a pensare alle cose peggiori
6. attiva e mantiene i circoli del panico

“… SO CHE NON è RAZIONALE, MA è Più FORTE DI ME. MI BASTA PENSARE DI TROVARMI IN CERTE SITUAZIONI O DI AVERE CERTE SENSAZIONI: COME LA TACHICARDIA, IL SUDORE O IL SENSO DI SOFFOCAMENTO, PER ENTRARE IN CRISI. MI SEMBRA NORMALE EVITARE PER NON STARE MALE. COME è POSSIBILE AFFRONTARE LE SITUAZIONI CHE EVITO?”

E’ comprensibile che la persona che soffre di panico eviti le situazioni perché ha paura di stare male. Ma l’evitamento non è la soluzione al problema. La persona sta bene nell’immediato. Ma poi? Si costruisce una gabbia che lo intrappola: inizialmente evita una situazione, poi un’altra, poi un’altra ancora, fino a limitare la sua vita.

Il problema non sono le situazioni ma è la paura dei sintomi. Durante la terapia la persona comprende, verifica e prova che di fatto non succede nulla: l’ansia non è pericolosa, non è dannosa, e può essere gestita. La persona acquista sicurezza e si sentirà gradualmente pronta di affrontare le situazioni temute. Sono previste esposizioni in cui inizialmente terapeuta e paziente affrontano insieme varie situazioni.

AL TERMINE DELLA TERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE, SI POSSONO VERIFICARE DELLE RICADUTE?

Partiamo dal presupposto che nessuno è esente dall’ansia. L’ansia fa parte della nostra vita. Quindi, l’obiettivo che ci poniamo in terapia non è quello di non provare più ansia. Al contrario, possono essere previste delle possibili ricadute a distanza di tempo, ma qualora e se si dovessero verificare, la persona non reagirà con intensa paura perché ha acquisito tecniche cognitive e comportamentali per il controllo e la gestione del panico.

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07.08.07

I familiari come possono aiutare il parente che soffre di panico?

14:11:11, Aree di intervento: Attacco di panico  

Il lavoro con i familiari

Quando una persona soffre di attacco di panico, questa condizione può incidere sull’intera famiglia.

Vi possono essere pazienti che, pur sperimentando frequentemente delle crisi di panico, mantengono una discreta indipendenza, altri persone, invece, vivono una drastica limitazione della loro autonomia. Sono pazienti, che spaventati dalle sensazioni somatiche che avvertono, hanno evitato sempre di più le situazioni, vivendo relegati a casa, totalmente dipendenti dai familiari.

I membri della famiglia possono andare incontro a sentimenti di frustrazione in quanto i loro tentativi di aiutare il parente non hanno successo, si sentono sovraccarichi di responsabilità e socialmente isolati. Spesso i familiari non accettano, non credono che il loro parente che, fino a qualche tempo prima era autonomo ed efficiente, abbia difficoltà ad uscire di casa o a rimanere da solo per qualche ora. L’incredulità può trasformarsi in fastidio, rendendo tesi e conflittuali i rapporti. I familiari non comprendendo pienamente lo star male del loro parente, possono pretendere da lui che riprenda la vita che aveva precedentemente condotto, forzando i tempi ed esponendolo a situazioni soggettivamente ansiogene e pericolose. Il paziente non si sente capito ed aiutato e tutto ciò può incidere negativamente sul suo umore.

La famiglia dovrebbe incoraggiare il parente con attacchi di panico a cercare l’aiuto di un esperto qualificato nella terapia del disturbo. Inoltre, potrebbe essere utile per i familiari assistere ad alcune sedute di trattamento o a partecipare ai gruppi di sostegno ai familiari, organizzati secondo un ottica cognitiva comportamentale.

Un approccio basato fin dall’inizio su una comunicazione chiara tra il terapeuta, il paziente e i familiari costituisce la base per una migliore prognosi. I familiari potranno supportare il parente durante i momenti di sconforto, incoraggiarlo a svolgere i compiti a casa. Il familiare, di cui il paziente ha fiducia, diventerà il co – terapeuta, che permetterà una graduale esposizione alle situazioni temute, che solo successivamente il paziente effettuerà da solo.

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Obiettivi della terapia cognitiva comportamentale per la cura del panico

13:17:56, Aree di intervento: Disturbo di Panico, Attacco di panico  

La terapia cognitivo comportamentale è particolarmente tecnica, pratica ed altamente riabilitativa. Parte inizialmente dai sintomi dell'ansia che spaventano la persona, al fine di eliminarli.

Il trattamento cognitivo comportamentale non tende alla soppressione dei sintomi. Durante le sedute, infatti, vengono provocati, attraverso tecniche di esposizione interoccettiva, i sintomi che il paziente solitamente avverte e teme durante gli attacchi di panico. Il paziente comprende e dimostra a se stesso che i sintomi non sono pericolosi e ciò permette di smantellare false credenze che la persona ha appreso e mantiene (posso svenire, morirò, mi verrà un ictus, mi verrà un infarto, ... ), si riduce sia l’ansia anticipatoria di avere un altro attacco di panico che l’intensa paura iniziale legata ai sintomi. La persona impara che l'ansia non è dannosa, nè pericolosa, ma anzi gestibile.

La persona che soffre di attacchi di panico impara gradualmente ad affrontare le situiazioni temute che aveva evitato o affrontato con disagio (esposizioni comportamentali). Si verifica un processo di apprendimento, in cui la persosa comprende che non è la situazione di per se ad essere pericolosa, ma è il suo modo di vivere le situazioni stesse a causare l'ansia. Persone che avevano evitato, per anni, il pullman, la coda nei supermercati, i luoghi affollati, ..., imparano ad affrontarli con serenità e sicurezza. Tale tecnica permette di modificare il dialogo interno del paziente, che riguarda il modo di vivere, interpretare e dare significato agli eventi. I pensieri iniziali “sto per avere un attacco di panico”, “sto per svenire”, vengono sostituiti con altri pensieri più razionali “è solo un po’ di ansia”.

Il cambiamento del dialogo interno non è dovuto alla semplice sostituzione di un pensiero con un altro. Solo dopo che la persona ha provato e dimostrato a se stessa che le paure iniziali non si verificano, è in grado di modificare le errate credenze e acquista, inoltre, sicurezza.

La ristrutturazione cognitiva ha l’obiettivo di identificare i pensieri automatici del paziente e successivamente identificare e modificare le credenze errate relative alle interpretazioni erronee, per determinare anche cambiamenti a livello emotivo e comportamentale.

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Terapia farmacologica per il trattamento del disturbo di panico

13:01:24, Aree di intervento: Disturbo di Panico, Attacco di panico  

I farmaci efficaci ed utilizzati per la cura del disturbo di panico sono: gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (ISRS): citalopram, fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, sertralina; gli antidepressivi triciclici (ADT): clorimipramina e imipramina; le benzodiazepine (BZD): alprazolam, clonazepam, diazepam, lorazepam e gli inibitori delle monoamino-ossidasi (IMAO): fenelzina, tranilcipromina.

Il trattamento farmacologico del disturbo di panico risulta efficace nel ridurre l’intensità e la frequenza degli attacchi di panico spontanei e/o situazionali e nel ridurre, inoltre, l’ansia anticipatoria e le condotte di evitamento. La persona acquista maggior sicurezza perchè avverte meno sintomi ed inizia ad affrontare le situazioni che aveva evitato.

In alcuni casi, però, il comportamento agorafobico permane. Inoltre, durante il trattamento farmacologico il paziente può comunque avvertire i sintomi dell'ansia e soprattutto al termine del trattamento, tali sintomi possono ricomparire, lasciando la persona in preda al panico per la paura che possa capitargli qualcosa di pericoloso.

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Efficacia della terapia cognitivo comportamentale per il trattamento del disturbo di panico

12:53:47, Aree di intervento: Disturbo di Panico, Attacco di panico  

In accordo con il National Institute of Mental Health (1993), numerose ricerche hanno dimostrato l’efficacia della terapia cognitiva comportamentale per il trattamento del disturbo di panico con o senza agorafobia (Otto MW et al., 2004; Starcevic et al., 2004; Kenardy et al., 2003; Barlow, Gorman, Shear e Woods, 2000; Otto, Pollack e Maki, 2000; Stein et al., 2000; Hofmann e Spiegel 1999; Loerch, 1999; Sharp, 1996; Klosko, 1995; Black, 1993; Beck, Sokol, Clark, Berchick, Wright, 1992; Craske, Brown, Barlow, 1991; Klosko, Barlow, Tassinari e Cerny, 1990; Michelson et al., 1990; Barlow, Craske, Cerny e Klosko, 1989; Sokol et al., 1989; Barlow, 1988; Clark, Salkovskis et al., 1988; Ost, 1988; Salkovskis et al., 1986; Clark, Salkovskis, Chalkley, 1985).

Inoltre, studi di meta analisi (Otto, 2001; Gorman et al, 1998; Gould et al., 1995; Clum et al., 1993; Mattick, 1990) e di analisi delle variabili predittive sottolineano la presenza di numerosi rilievi sperimentali che propongono la TCC come una terapia efficace per il trattamento del disturbo di panico. Per esempio, in una ricerca di meta analisi, Gould, Otto e Pollack (1995) esaminarono i risultati ottenuti in studi controllati su TCC pubblicati tra il 1974 e il 1994. Gli autori evidenziarono l’efficacia del trattamento cognitivo comportamentale, comparando i risultati ottenuti rispetto a quelli della lista di attesa.

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Starbene: mente-corpo

Dott.ssa Maria Narduzzo
Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Terapeuta EMDR
Docente dell'Istituto Watson
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