Origini della Deprivazione Emotiva
1) La madre è fredda e non affettuosa. Non tiene in braccio il bambino e non manisfesta il suo affetto con il contatto fisico.
2)Il genitore non dedica abbastanza tempo e attenzione al figlio. Sono pochi i momenti di gioco.
3)Il bambino non si sente amato, apprezzato, importante e speciale per il genitore.
4)Il bambino non percepisce il genitore come una guida preziosa e come un punto di riferimento a cui poter raccontare le proprie esperienze, paure ed emozioni. Si sente non capito e percepisce il genitore come non affidabile.
5)Il genitore non tranquillizza il figlio che imparara a tranquillizzarsi da solo.
6) Il genitore non ascolta o fa fatica a sintonizzarsi con i vissuti del figlio
Federica inizia la terapia perchè prova angoscia intensa:
"mi sento sola", "smarrita", "non so chi sono", "tutto mi è estraneo", "le persone le vedo estranee, ognuno è preso dalle proprie corse e dai propri impegni", "se dovessi star male, nessuno mi potrebbe aiutare", "l'ansia aumenta, devo scappare".
L'ansia e gli attacchi di panico derivano dalla sensazione di sentirsi sola, che aumenta quando Federica è sola a casa, ma è presente anche quando è circondata dai suoi familiari.
Federica ricorda la sua infanzia: "ero una bambina allegra, sorridente, ma sola. Sola in cortile, sola nella mia stanza. Avrei voluto giocare con mia madre, ma lei era presente fisicamente ma non mentalmente".
Ancora oggi, Federica si mantiene in uno stato di solitudine, rafforzando la deprivazione emotiva e la sua depressione. Quando è da sola in casa rivive la sua solitudine infantile, si blocca, rimanendo seduta sulla sedia ore ed ore senza far niente.
Quando sono presenti le figlie e il marito, tende a starsene per conto suo nella sua solitudine: non gioca, non condivide momenti, non parla.
Le figlie stanno sperimentando le sue emozioni infantili. Vivono con una mamma presente solo fisicamente ma non mentalmente, per cui alla fine preferiscono rimanere con il papà.
Federica, senza rendersene conto, ha ricreato un clima familiare privo di affetto e lo stesso vuoto emotivo che era presente nella sua famiglia di origine.
I suoi comportamenti rinforzano la trappola della deprivazione emotiva che si è originata nell'infanzia e la sua sensazione di non essere amata, importante e sola.
Le reazioni durante e dopo l’incidente sono:
Senso di irrealtà - Si ha la sensazione di essere dentro a un film, le scene si svolgono come al rallentatore, i sensi sono acutizzati per fare una rapida valutazione dei pericoli presenti nella situazione, cercando delle vie d’uscita o altre soluzioni. Subito dopo l’esperienza traumatica, la realtà quotidiana attorno a noi può sembrare irreale o irrilevante, come se ci trovassimo sotto a una campana di vetro o in mezzo ad un incubo.
Reazioni fisiche- tachicardia, senso di nausea, sensazioni di caldo o freddo, paura di stare da soli, bisogno di vicinanza, di un supporto e aiuto concreto.
Reazioni successive all’evento:
Pensieri intrusivi - Arrivano involontariamente pensieri, ricordi e immagini di quello che è successo. Compaiono soprattutto in momenti di rilassamento, per es. prima di dormire e si accompagnano ad un senso di disagio.
Problemi di sonno - In genere il sonno è leggero, ci si sveglia spesso, si hanno degli incubi o sogni ricorrenti dell’evento.
Associazione con altri stimoli - È comune che alcuni stimoli ambientali, persone o situazioni richiamino l’evento in modo involontario. Questo è dovuto al fatto che l’evento viene associato ad altri fattori che provocano un certo malessere o ansia. Ovviamente lo stimolo da solo, se non venisse associato all’evento traumatico, non generebbe alcun disagio.
Difficoltà di concentrazione - Poca concentrazione in attività quale la lettura, la visione di un film, ecc.
Reazioni fisiche - Problemi di stomaco, senso di nausea, stanchezza.
Disperazione - È difficile accettare i fatti attuali e non si riesce a pensare al futuro in modo adeguato.
Colpa - Si ha senso di colpa ad esempio per essere sopravvissuti quando un’altra persona è morta o ferita gravemente. C’è una tendenza a colpevolizzarsi per non avere fatto a sufficienza. È comune dirsi: “Se io solo avessi........”
Vulnerabilità - Paura del futuro oppure impazienza e irritazione con gli altri, sopratutto con i familiari. Indifferenza verso cose che prima dell’incidente erano molto importanti per la persona. Questo a volte crea incomprensione con gli altri da cui scaturiscono ulteriori difficoltà .
Le persone pensano ripetutamente a quello che è successo per cercare di capire l’evento. In alcuni casi i pensieri sulla causa dell’evento e sulla vicinanza della morte e la vita sono molto comuni. Il senso della propria invulnerabilità scompare. Tutto è incerto, soprattutto se e quando può succedere nuovamente.
La durata di queste reazioni è diversa per ogni persona. Per alcuni la situazione si normalizza dopo poche settimane, per altri ci vuole più tempo. Se sono troppo intense e durano per molto tempo è necessario il supporto di uno psicoterapeuta specializzato nel trattamento dei disturbi post traumatici.
Per maggiori informazioni consulta il sito: www.emdritalia.it
Sono sempre indaffarata, piena di impegni ma non mi fermo mai.
Lavoro e cerco di svolgere le mie attività al meglio, rispetto le scadenze, effettuo i pagamenti, risolvo i problemi, tutto è organizzato e procede bene.
Poi ci sono i figli, non voglio assolutamente rinunciare a essere una madre presente, cerco di andarli a prendere a scuola almeno due volte a settimana, pranzo con loro e la sera mi piace giocare e guardare la televisione insieme.
In casa poche cose sono fuori posto, prima di uscire al mattino, riordino, avvio la cena, carico la lavatrice, mi organizzo in tempo per fare la spesa e commissioni varie.
La mia vita è un gioco di incastri. Mi sforzo di mantenere tutto in perfetto ordine e spesso mi rendo conto di dover fare così tante cose che non ho il tempo per rilassarmi. Mi sento costantemente sotto pressione. Dedico una brevissima interruzione per il pasto, spesso mi capita di mangiare velocemente un panino e contemporaneamente di rispondere alle e-mail. Anche la sera, ceno in fretta e nel frattempo penso alle cento cose che devo fare dopo. Non mi gusto il cibo e lo stare insieme ai miei familiari.
Mi capita spesso di sentirmi stanca la sera, ma vado avanti, per me è importante sparecchiare, sistemare la cucina, non sopporterei di sedermi per guardare la tv se prima non ho sistemato tutto.
Il sabato e la domenica soffro di forti mal di testa e come se allentando un po' i ritmi io stessi male, devo fare sempre qualcosa, altrimenti non sono contenta, non sono soddisfatta di me.
Durante la terapia, ho ripensato ai vantaggi del mio modo di vivere la vita:
ho tutto sotto controllo;
non commetto errori;
ottengo buoni risultati,
riesco a gestire il lavoro, la casa e i figli;
vivo nell'ordine;
sono presente per eventuali problemi ed imprevisti;
sono brava e capace;
ricevo complimenti.
ho notato, però, anche molti svantaggi:
sono stanca;
soffro di ansia e di bruciori allo stomaco;
non mi rilasso;
non mi godo le attività che svolgo perchè sono proiettata a ciò dovrò fare dopo;
ho poco tempo per me;
trascuro gli amici e il divertimento;
litigo ed aggredisco i miei familiari quando mettono in disordine;
gli altri si sentono inadeguati;
non sento di provare piacere nel fare le cose, ho tanti "doveri";
non sono contenta dopo aver raggiunto un risultato, perchè penso a ciò che voglio raggiungere dopo;
mi perdo nei dettagli;
devo essere perfetta prima di uscire;
pretendo la perfezione negli altri.
Con la terapia ho capito che questo stile di vita non è funzionale per la mia salute e per la mia serenità, inoltre rende infelice le persone che mi circondano. Ripensando al mio passato, mia madre era sempre pronta a criticarmi e ad evidenziare eventuali sbagli, tante volte mi sono sentita incapace ed inadeguata.
Non avevo la libertà di distendermi sul divano per guardare la televisione, per lei era una perdita di tempo, dovevo sempre essere impegnata in una qualsiasi attività.
Matteo
“Non so neanche perchè sono nato”, “Forse non sarei dovuto nascere”. Più volte ho chiesto a mia madre il perchè mi avesse messo al mondo, lei mi ha sempre risposto “è normale fare un figlio, lo fanno tutti”. Alla domanda “mi vuoi bene?” Seguiva la risposta: “certo che ti voglio bene, sei mio figlio”. Ma questa risposta non mi ha mai convinto.
Mia madre casalinga, depressa da sempre, fredda, non ricordo un abbraccio, un gesto carino, un momento in cui trascorrevamo del tempo insieme. Non era previsto. Lei era troppo presa dalla sua sofferenza e in generale dalle sue cose. Per lei era importante che io mi comportassi “bene”, mi ricordava cosa avrei dovuto dire o fare in una determinata circostanza e con determinate persone. Sono trascorsi 25anni, nulla è cambiato, mia madre è sempre depressa, si lamenta della sua sofferenza e di quanto sia brutto il mondo. I nostri rapporti sono sporadici e formali: un the consumato parlando del più e del meno, senza domande personali che mostrini interesse ed attenzione nei miei confronti. Sono abituato e non mi aspetto nulla.
Mio padre impiegato, passivo, per lui era importante che le cose andassero avanti senza grandi problemi, litigi e discussioni. Mediava. Non ha mai fatto un passo senza mia madre. Più volte gli ho chiesto di andare a vedere una mostra insieme, mi avrebbe fatto piacere, ma mi ha sempre risposto di no. Ho solo un ricordo piacevole della mia infanzia: io e mio padre giocavamo con i soldatini. Mi divertivo, ridevo.
In settimana vivevo da mia nonna perchè i miei genitori lavoravano. A volte capitava che anche il fine settimana lo trascorressi dai nonni. La mia casa non era quella dei miei genitori, non la sentivo mia. Anzi meno ci stavo meglio era. Piccola, piena di animali, di libri e di oggetti comprati nei loro tanti viaggi, quella casa mi angosciava e ancora oggi, mi fa lo stesso effetto.
Ricordo la mia infanzia, solo nella mia stanza a studiare. Lo studio era il mio lavoro e lo facevo bene. Sono sempre stato il più bravo della classe, forse questo dava senso alla mia esistenza, mi dava un ruolo, un motivo per andare avanti ed essere riconosciuto dai miei genitori. Ero molto bravo anche nello sport e coltivavo vari interessi, forse tutto questo mi rendeva interessante agli occhi delle ragazze e dei miei compagni. Mi ricordo settimane trascorse fuori dall'Italia per una vacanza studio, qui ero uno come tanti: non il più bravo nello studio, non il più bravo nello sport. Un senso di vuoto e di angoscia .. tornai a casa.
Ho trascorso la mia vita sui libri, speravo di raggiungere obiettivi importante ma non ci sono riuscito, mi sento di non valere, sconfitto, inadeguato e sento di aver deluso i miei genitori. Dal quell'immagine di me solo nella mia stanza sui libri, oggi non è cambiato nulla, lavoro in casa da solo, senza orari, senza colleghi con cui scambiare una battuta. Ma per me è tutto normale, è un suono di campana che conosco.
Non ho mai parlato delle mie esperienze ai miei genitori. Mi sono sempre gestito da solo i miei dubbi, le mie emozioni, le miei difficoltà, non vedevo in loro un punto di riferimento, qualcuno capace ed interessato ad ascoltare e a capirmi veramente. All'età di sei anni prendevo il pullman da solo e a sette anni viaggiavo da solo in treno. Se ci penso, anche oggi sono solo e mi gestisco in modo autonomo le mie cose, senza chiedere a nessuno. Penso che potrei disturbare, l'altro si sentirebbe in dovere di accompagnarmi, non lo farebbe per piacere. Perchè l'altro dovrebbe essere interessato a me? Perchè dovrebbe avere il piacere di stare con me? Esattamente come da bambino, non mi sentivo importante, speciale e nessuno mi ha mai dimostrato un vero interesse, ancora oggi ho le stesse sensazioni e pensieri. Quando incontro un conoscente tendo a non raccontare nulla di me, ma esprimo molto interesse nei suoi confronti, ponendogli tante domande. Il mio modo di interagire con le persone rispecchia esattamente l’idea che ho di me stesso, una persona poco interessante e stimolante. Quindi perché parlare di me?
Vivo da solo senza una compagna, ho sempre pensato di non essere interessante per una donna, cosa potrei offrire?
Con la terapia, mi sto rendendo gradualmente conto che in realtà NON E’ VERO CHE NON VADO BENE e che NON SONO INTERESSANTE , ma questa è l’idea inconsapevole che si può generare in un bambino lasciato da solo da genitori non capaci di trasmettere interesse, amore e attenzioni, a causa delle loro caratteristiche (freddezza) e per le loro difficoltà (depressione).
Io dovevo, i piaceri non esistevano. Ho condotto una vita essenziale, ma non perchè mancassero i soldi, ma poche storie e bisognava andare avanti. Anche quando mi necessitava un paio di scarpe non venivano comprate, bisognava aspettare una ricorrenza per rinnovare il guardaroba. Mi ricordo che desideravo una giacca blu uguale a quella che indossavano i miei compagni, ma io dovevo continuare ad usare una vecchia giacca rossa. Ancor oggi questa è la mia vita, molto essenziale, non mi concedo quasi nulla, lo stretto necessario per andare avanti, nessun piacere, nessuno svago e non acquisto per il solo piacere di indossare un capo nuovo. Mi dico che è normale sono una persona semplice che non ha grosse pretese.
Nella mia vita attuale ho ricreato, senza esserne consapevole, una condizione di deprivazione emotiva e di abbandono, riproducendo così la mancanza di amore, attenzione e di vuoto che ha caratterizzato la mia infanzia.
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Dott.ssa Maria Narduzzo
Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
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