Archivi per: 2009

25.09.09

10:03:08, Aree di intervento: Disturbi D'Ansia, Attacco di panico  

Terapia Cognitivo–Comportamentale di Gruppo per il trattamento del Disturbo di Panico: esperienza in un Centro di Salute Mentale

Narduzzo M, De Marzi G, Sapuppo V

I risultati di questo studio pilota pongono in risalto l’efficacia della Terapia Cognitiva Comportamentale di gruppo (TCCgr) per il trattamento del Disturbo di Panico.

Tale Terapia integra tecniche sia cognitive che comportamentali, con le quali si intende aiutare i pazienti ad identificare e modificare i pensieri disfunzionali relativi all’ansia, gli schemi di base e i comportamenti disadattivi.

La ricerca ha evidenziato che la TCCgr riduce la frequenza e l’intensità degli attacchi di panico con o senza agorafobia, dopo un breve periodo di tempo di 12 incontri a cadenza settimanale.

Tali risultati vengono mantenuti nel tempo, come dimostrano i follow up a 3 e a 6 mesi dal termine del trattamento e ciò rappresenta un punto di forza centrale per la valutazione dell’efficacia di tale terapia.

In accordo con la letteratura, la TCC risulta essere un trattamento di prima scelta per pazienti con disturbo di panico. Tale terapia è indicata per pazienti non rispondenti o parzialmente rispondenti alla terapia farmacologia, una strategia alternativa per coloro che desiderano interrompere i farmaci.

E’ stata, inoltre, discussa la possibilità di combinare la TCC e la terapia farmacologica antidepressiva, entrambi efficaci nel trattamento del disturbo di panico.

Introduzione

L’obiettivo della presente ricerca è duplice: offrire la possibilità ai pazienti con Disturbo di Panico di essere trattati con una terapia alternativa rispetto ai farmaci e alla psicoterapia classica, solitamente proposti all’interno di un Centro di Salute Mentale pubblico e successivamente sperimentare l’efficacia del Trattamento Cognitivo Comportamentale stesso.

Metodo di Lavoro

Invio

I 14 pazienti che hanno aderito al nostro studio, sono stati inviati dal medico-psichiatra di riferimento dopo aver effettuato una diagnosi di Disturbo di Panico, con o senza agorafobia. Tutti i pazienti segnalati hanno sostenuto un primo colloquio di conoscenza con una psicologa “neutra” in quanto non ha partecipato alla conduzione del gruppo, ma solo alla raccolta dei dati durante la fase di assessment e alla somministrazione dei test.

Assessment cognitivo comportamentale

L’assessment cognitivo comportamentale (o valutazione) è una raccolta di dati ed informazioni che consente al professionista di conoscere le caratteristiche specifiche del paziente.

Nell’assessment vengono analizzate le risposte comportamentali, fisiologiche, cognitive ed emotive al fine di valutare la presenza di un disturbo di panico e dei comportamenti agorafobici.

E’ importante, inoltre, valutare la presenza di eventuali manifestazioni e disturbi associati al disturbo di panico, che possono complicare il quadro clinico del paziente, al fine di scegliere il trattamento più adeguato da utilizzare.

Durante la fase di assessment, sono stati somministrati i seguenti test: SCID-II, HAMILTON ANXIETY SCALE (HAM-A), HAMILTON RATING SCALE FOR DEPRESSION (HAM-D), MARKS-SHEEHAN PHOBIA SCALE (MSPS-#490), PANIC DISORDER SEVERITY SCALE (PDSS), SHEEHAN CLINICIAN RATED ANXIETY SCALE (SCRAS -#480), LIEBOWITZ SOCIAL PHOBIA SCALE (LSPS)

Frequenza e durata della terapia

La Terapia Cognitivo Comportamentale di gruppo si è svolta in 12 incontri a cadenza settimanale, della durata di tre ore ciascuno.

Programma della Terapia Cognitiva - Comportamentale per il Disturbo di Panico

Il Trattamento Cognitivo – Comportamentale per il Disturbo di Panico fa riferimento al modello di Barlow che consiste in una combinazione di tecniche sia cognitive che comportamentali: fase psicoeducazionale, addestramento alla respirazione e al rilassamento muscolare, ristrutturazione cognitiva, esposizioni interocettive, esposizioni alle situazioni temute per pazienti che presentano comportamenti di evitamento agorafobico, assegnazione di compiti da svolgere a casa, corso per potenziare le abilità sociali.

Raccolta dei dati ed analisi statistica

I test utilizzati nella fase di baseline, sono stati risomministrati ai pazienti al termine del trattamento, nei follow up a 3 e a 6 mesi dal termine della terapia.
All’interno di ogni gruppo e nell’ambito di ogni scala di misurazione, è stata effettuata un'analisi della varianza per misure ripetute confrontando ogni tempo di rilevazione (post-trattamento, follow-up a 3 mesi e follow-up a 6 mesi) nei confronti della baseline.

Risultati

L’analisi statistica effettuata ha mostrato una significativa riduzione dei punteggi(p<0.05) in tutte le scale ed a tutti i tempi, rispetto ai punteggi ottenuti nella fase di baseline.
Si può affermare che la Terapia Cognitivo Comportamentale ha permesso la riduzione dei sintomi e tali benefici si mantengono anche a distanza di tempo.

L’analisi statistica ha permesso anche di rilevare che il gruppo di pazienti trattato solo con la Terapia Cognitiva Comportamentale ha permesso da sola la riduzione dei sintomi e che tali benefici si mantengono nel tempo.

Il gruppo trattato con la Terapia Cognitiva Comportamentale che assumeva farmaci prima del trattamento, ha mostrato una significativa riduzione dei punteggi.

La nostra ricerca non si pone come obiettivo la verifica dell’efficacia dei farmaci nella cura del Disturbo di Panico. Diversi studi in letteratura dimostrano la validità del trattamento farmacologico nel ridurre l’intensità e la frequenza degli attacchi di panico spontanei e/o situazionali, molto spesso si determina una catena di rinforzi positivi in grado di ridurre l’ansia anticipatoria e le condotte di evitamento.

Molti studi hanno, inoltre, comparato i risultati ottenuti dalla TCC e dalla terapia farmacologica, al fine di valutare l’efficacia dei singoli trattamenti per il disturbo di panico. Studi di meta analisi indicano che i risultati della TCC per il disturbo di panico sono uguali o lievemente superiori a quelli che si ottengono con trattamenti antidepressivi o benzodiazapine (Otto, 2001; Barlow, 2000; Biondi, 1999; Gould, 1995; Clark, 1994;1997; Iacobson et al., 1996; Barlow et al. 1995; Cottraux, 1995; Fava, 1995; Clum, 1993; Marks, 1993). Benchè tutti questi risultati suggeriscono un sottile margine di superiorità della TCC rispetto ai trattamenti farmacologici, una conclusione prudente è sostenere che vengono ottenuti risultati più o meno uguali con entrambi, durante il trattamento del disturbo di panico nella fase acuta.

Se consideriamo che la TCC e la terapia farmacologica, sono entrambi validi, ci chiediamo se l’uso combinato dei due trattamenti possa migliorare sensibilmente l’efficacia, permettendo di ottenere maggiori risultati. Purtroppo la limitata numerosità del nostro campione, non ci permette di trarre conclusioni generali.
Studi in letteratura hanno evidenziato dati discordanti: secondo alcuni studi, la somministrazione dei farmaci, durante il trattamento cognitivo comportamentale, permette di ottenere benefici aggiuntivi. (Marcus, 2007; Azhar, 2000; Stein et al., 2000; Bruce,1995; Pollack, 1994; Telch, 1994; Mavissakalian, 1990).
Diverse ricerche hanno dimostrato, invece, che tali benefici si verificano solo durante il trattamento della fase acuta, ma potrebbero non mantenersi nella stessa proporzione a lungo termine (Black, 2006; Starcevic et al., 2004; Barlow et al., 2000; Barlow, 1998; Gorman, 1998; Shear, 1998; Woods, 1998; Bouvard e colleghi, 1997; Sharp e collaboratori, 1996; Cottraux e collaboratori, 1995; Gould, Otto e Pollack, 1995.

Il gruppo di pazienti che assumeva i farmaci prima di iniziare la Terapia Cognitiva Comportamentale di gruppo e che è riuscito ad interrompere nell’arco dei sei mesi i farmaci stessi, ha mostrato una significativa riduzione (p<0.05) dei punteggi in tutte le scale ed a tutti i tempi rispetto a quelli ottenuti nella fase di baseline.
I risultati del nostro studio permettono di confermare i risultati di ricerche pubblicate in letteratura che hanno dimostrato che un breve programma di TCC durante l’assunzione e prima di iniziare lo scalare graduale della terapia, riduce le reazioni di paura legate ai sintomi ansiogeni, prima che tali sintomi si manifestano durante lo scalare farmacologico (Whittal et al., 2001; Bruce, 1995; Hegel, 1994; Spiegel, 1994; Otto e collaboratori, 1993).

Conclusioni

L’esperienza della Terapia Cognitivo Comportamentale di gruppo è risultata particolarmente gradevole e piacevole per tutti i partecipanti e non si sono verificati drop-out.

E' da sottolineare l'esperienza nuova per un Servizio di Salute Mentale pubblico di proporre il trattamento cognitivo comportamentale che solitamente rimare ad appannaggio di un servizio privato.

La nostra ricerca ha messo in evidenza l’efficacia della Terapia Cognitivo Comportamentale di gruppo nel ridurre l’entità e la frequenza dei sintomi dell’ansia nella fase acuta del disturbo. Tali benefici si ottengono in tempi brevi (12 incontri) e si mantengono anche dopo sei dal termine del trattamento.

La TCC può essere proposto come trattamento di prima scelta nei disturbi di panico con o senza agorafobia e per pazienti che desiderano sospendere i farmaci.

Dalla letteratura emerge, inoltre, che l’uso combinato della TCC con i farmaci, può dare risultati rapidi nel trattamento della fase acuta del disturbo. A lungo termine, la TCC applicata come monoterapia sembra dare benefici più stabili del trattamento combinato. In questo caso, la nostra ricerca non ci permette di trarre conclusioni generali vista la non numerosità dei pazienti.
La Terapia Cognitivo Comportamentale è stata di aiuto ai pazienti per identificare e successivamente modificare i pensieri automatici negativi rispetto ai sintomi dell’ansia, le credenze errate e i comportamenti disfunzionali. Al termine del trattamento, il paziente comprende la natura del proprio disturbo, acquisisce sicurezza ed impara a vivere le sensazioni fisiche legate all’ansia non più come pericolose per la propria salute. La persona acquisisce, inoltre, strategie efficaci per gestire l’ansia e per interrompere il circolo vizioso che si attiva nel momento in cui si percepiscono i primi sintomi dell’ansia e che culmina in alcuni casi nell’attacco di panico.
Tramite la terapia cognitivo comportamentale si riduce l’ansia anticipatoria, la persona impara ad esporsi direttamente e gradualmente alle situazioni evitate o vissute con disagio.

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27.04.09

Conseguenze della trappola dell'abbandono

01:03:10, Aree di intervento: Ansia, Paure, Fobie  

Come si comportano le persone che presentano la trappola dell'abbandono?

1) Resa Alcune persone possono scegliere patner poco disponibili e imprevedibili perchè sono già impegnati affettivamente, lavorano molto, abitano lontano, non desiderano impegnarsi, soffrono di depressione.

2) Evitamento Chi presenta la trappola dell'abbandono, può utilizzare uno stile di coping di evitamento per paura di essere abbandonata: Alessia evita gli uomini, rifiuta ogni loro invito e trascorre il suo tempo libero da sola o con le amiche.

Alessia ha instaurato e mantiene un circolo vizioso che la porta alla solitudine e alla sofferenza: sentendosi sola tende a mangiare per consolarsi, con conseguente aumento del peso. Essere in sovrappeso le offre il vantaggio di non piacere ed interessare agli uomini. Evita, così, qualsiasi tipo di relazione per paura di soffrire e di essere abbandonata, ma rimane in uno stato di solitudine e sofferenza che la porta a mangiare in modo eccessivo.

3) Ipercompensazione Siete gelosi, possessivi, ossessionati dalla paura di perdere il vostro patner e alla fine sentendosi soffocato tende realmente a lasciarvi.

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Conseguenze della deprivazione emotiva

00:46:50, Aree di intervento: Deprivazione emotiva  

Tutti coloro che hanno la trappola della deprivazione emotiva, si comportano allo stesso modo nelle relazioni affettive?

Esistono tre tipi di comportamenti:

1) Resa Alcune persone scelgono patner freddi, distaccati e poco capaci di dimostrare amore. Tendono, inoltre, a scoraggiare qualsiasi manifestazione di affetto nei loro confronti, mantenedosi esse stesse distanti. Non raccontando nulla di loro e tendono ad isolarsi.

2) Evitamento o fuga Le persone che presentano questo stile di coping evitano del tutto le relazioni oppure le intrattengono solo per un breve periodo.

3) Ipercompensazione Le persone si aspettano irrealisticamente, che gli altri soffisfano tutti i loro bisogni.

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Origini della trappola della deprivazione emotiva

00:30:42, Aree di intervento: Deprivazione emotiva  

Origini della Deprivazione Emotiva

1) La madre è fredda e non affettuosa. Non tiene in braccio il bambino e non manisfesta il suo affetto con il contatto fisico.

2)Il genitore non dedica abbastanza tempo e attenzione al figlio. Sono pochi i momenti di gioco.

3)Il bambino non si sente amato, apprezzato, importante e speciale per il genitore.

4)Il bambino non percepisce il genitore come una guida preziosa e come un punto di riferimento a cui poter raccontare le proprie esperienze, paure ed emozioni. Si sente non capito e percepisce il genitore come non affidabile.

5)Il genitore non tranquillizza il figlio che imparara a tranquillizzarsi da solo.

6) Il genitore non ascolta o fa fatica a sintonizzarsi con i vissuti del figlio

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Attacchi di panico, solitudine e angoscia

00:13:53, Aree di intervento: Deprivazione emotiva  

Federica inizia la terapia perchè prova angoscia intensa:

"mi sento sola", "smarrita", "non so chi sono", "tutto mi è estraneo", "le persone le vedo estranee, ognuno è preso dalle proprie corse e dai propri impegni", "se dovessi star male, nessuno mi potrebbe aiutare", "l'ansia aumenta, devo scappare".

L'ansia e gli attacchi di panico derivano dalla sensazione di sentirsi sola, che aumenta quando Federica è sola a casa, ma è presente anche quando è circondata dai suoi familiari.

Federica ricorda la sua infanzia: "ero una bambina allegra, sorridente, ma sola. Sola in cortile, sola nella mia stanza. Avrei voluto giocare con mia madre, ma lei era presente fisicamente ma non mentalmente".

Ancora oggi, Federica si mantiene in uno stato di solitudine, rafforzando la deprivazione emotiva e la sua depressione. Quando è da sola in casa rivive la sua solitudine infantile, si blocca, rimanendo seduta sulla sedia ore ed ore senza far niente.

Quando sono presenti le figlie e il marito, tende a starsene per conto suo nella sua solitudine: non gioca, non condivide momenti, non parla.

Le figlie stanno sperimentando le sue emozioni infantili. Vivono con una mamma presente solo fisicamente ma non mentalmente, per cui alla fine preferiscono rimanere con il papà.

Federica, senza rendersene conto, ha ricreato un clima familiare privo di affetto e lo stesso vuoto emotivo che era presente nella sua famiglia di origine.

I suoi comportamenti rinforzano la trappola della deprivazione emotiva che si è originata nell'infanzia e la sua sensazione di non essere amata, importante e sola.

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12.04.09

Trauma: sintomi e reazioni

02:20:22, Aree di intervento: Trauma  

Le reazioni durante e dopo l’incidente sono:

Senso di irrealtà - Si ha la sensazione di essere dentro a un film, le scene si svolgono come al rallentatore, i sensi sono acutizzati per fare una rapida valutazione dei pericoli presenti nella situazione, cercando delle vie d’uscita o altre soluzioni. Subito dopo l’esperienza traumatica, la realtà quotidiana attorno a noi può sembrare irreale o irrilevante, come se ci trovassimo sotto a una campana di vetro o in mezzo ad un incubo.

Reazioni fisiche- tachicardia, senso di nausea, sensazioni di caldo o freddo, paura di stare da soli, bisogno di vicinanza, di un supporto e aiuto concreto.

Reazioni successive all’evento:

Pensieri intrusivi - Arrivano involontariamente pensieri, ricordi e immagini di quello che è successo. Compaiono soprattutto in momenti di rilassamento, per es. prima di dormire e si accompagnano ad un senso di disagio.

Problemi di sonno - In genere il sonno è leggero, ci si sveglia spesso, si hanno degli incubi o sogni ricorrenti dell’evento.

Associazione con altri stimoli - È comune che alcuni stimoli ambientali, persone o situazioni richiamino l’evento in modo involontario. Questo è dovuto al fatto che l’evento viene associato ad altri fattori che provocano un certo malessere o ansia. Ovviamente lo stimolo da solo, se non venisse associato all’evento traumatico, non generebbe alcun disagio.

Difficoltà di concentrazione - Poca concentrazione in attività quale la lettura, la visione di un film, ecc.

Reazioni fisiche - Problemi di stomaco, senso di nausea, stanchezza.
Disperazione - È difficile accettare i fatti attuali e non si riesce a pensare al futuro in modo adeguato.

Colpa - Si ha senso di colpa ad esempio per essere sopravvissuti quando un’altra persona è morta o ferita gravemente. C’è una tendenza a colpevolizzarsi per non avere fatto a sufficienza. È comune dirsi: “Se io solo avessi........”

Vulnerabilità - Paura del futuro oppure impazienza e irritazione con gli altri, sopratutto con i familiari. Indifferenza verso cose che prima dell’incidente erano molto importanti per la persona. Questo a volte crea incomprensione con gli altri da cui scaturiscono ulteriori difficoltà .

Le persone pensano ripetutamente a quello che è successo per cercare di capire l’evento. In alcuni casi i pensieri sulla causa dell’evento e sulla vicinanza della morte e la vita sono molto comuni. Il senso della propria invulnerabilità scompare. Tutto è incerto, soprattutto se e quando può succedere nuovamente.

La durata di queste reazioni è diversa per ogni persona. Per alcuni la situazione si normalizza dopo poche settimane, per altri ci vuole più tempo. Se sono troppo intense e durano per molto tempo è necessario il supporto di uno psicoterapeuta specializzato nel trattamento dei disturbi post traumatici.


Per maggiori informazioni consulta il sito: www.emdritalia.it

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Sono stanca ma non mi fermo mai

01:36:29, Aree di intervento: Standard Severi  

Sono sempre indaffarata, piena di impegni ma non mi fermo mai.

Lavoro e cerco di svolgere le mie attività al meglio, rispetto le scadenze, effettuo i pagamenti, risolvo i problemi, tutto è organizzato e procede bene.

Poi ci sono i figli, non voglio assolutamente rinunciare a essere una madre presente, cerco di andarli a prendere a scuola almeno due volte a settimana, pranzo con loro e la sera mi piace giocare e guardare la televisione insieme.

In casa poche cose sono fuori posto, prima di uscire al mattino, riordino, avvio la cena, carico la lavatrice, mi organizzo in tempo per fare la spesa e commissioni varie.

La mia vita è un gioco di incastri. Mi sforzo di mantenere tutto in perfetto ordine e spesso mi rendo conto di dover fare così tante cose che non ho il tempo per rilassarmi. Mi sento costantemente sotto pressione. Dedico una brevissima interruzione per il pasto, spesso mi capita di mangiare velocemente un panino e contemporaneamente di rispondere alle e-mail. Anche la sera, ceno in fretta e nel frattempo penso alle cento cose che devo fare dopo. Non mi gusto il cibo e lo stare insieme ai miei familiari.

Mi capita spesso di sentirmi stanca la sera, ma vado avanti, per me è importante sparecchiare, sistemare la cucina, non sopporterei di sedermi per guardare la tv se prima non ho sistemato tutto.

Il sabato e la domenica soffro di forti mal di testa e come se allentando un po' i ritmi io stessi male, devo fare sempre qualcosa, altrimenti non sono contenta, non sono soddisfatta di me.

Durante la terapia, ho ripensato ai vantaggi del mio modo di vivere la vita:

ho tutto sotto controllo;
non commetto errori;
ottengo buoni risultati,
riesco a gestire il lavoro, la casa e i figli;
vivo nell'ordine;
sono presente per eventuali problemi ed imprevisti;
sono brava e capace;
ricevo complimenti.

ho notato, però, anche molti svantaggi:

sono stanca;
soffro di ansia e di bruciori allo stomaco;
non mi rilasso;
non mi godo le attività che svolgo perchè sono proiettata a ciò dovrò fare dopo;
ho poco tempo per me;
trascuro gli amici e il divertimento;
litigo ed aggredisco i miei familiari quando mettono in disordine;
gli altri si sentono inadeguati;
non sento di provare piacere nel fare le cose, ho tanti "doveri";
non sono contenta dopo aver raggiunto un risultato, perchè penso a ciò che voglio raggiungere dopo;
mi perdo nei dettagli;
devo essere perfetta prima di uscire;
pretendo la perfezione negli altri.

Con la terapia ho capito che questo stile di vita non è funzionale per la mia salute e per la mia serenità, inoltre rende infelice le persone che mi circondano. Ripensando al mio passato, mia madre era sempre pronta a criticarmi e ad evidenziare eventuali sbagli, tante volte mi sono sentita incapace ed inadeguata.

Non avevo la libertà di distendermi sul divano per guardare la televisione, per lei era una perdita di tempo, dovevo sempre essere impegnata in una qualsiasi attività.


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03.04.09

Mi sento solo, non interesso

07:30:06, Aree di intervento: Deprivazione emotiva  

Matteo

“Non so neanche perchè sono nato”, “Forse non sarei dovuto nascere”. Più volte ho chiesto a mia madre il perchè mi avesse messo al mondo, lei mi ha sempre risposto “è normale fare un figlio, lo fanno tutti”. Alla domanda “mi vuoi bene?” Seguiva la risposta: “certo che ti voglio bene, sei mio figlio”. Ma questa risposta non mi ha mai convinto.

Mia madre casalinga, depressa da sempre, fredda, non ricordo un abbraccio, un gesto carino, un momento in cui trascorrevamo del tempo insieme. Non era previsto. Lei era troppo presa dalla sua sofferenza e in generale dalle sue cose. Per lei era importante che io mi comportassi “bene”, mi ricordava cosa avrei dovuto dire o fare in una determinata circostanza e con determinate persone. Sono trascorsi 25anni, nulla è cambiato, mia madre è sempre depressa, si lamenta della sua sofferenza e di quanto sia brutto il mondo. I nostri rapporti sono sporadici e formali: un the consumato parlando del più e del meno, senza domande personali che mostrini interesse ed attenzione nei miei confronti. Sono abituato e non mi aspetto nulla.

Mio padre impiegato, passivo, per lui era importante che le cose andassero avanti senza grandi problemi, litigi e discussioni. Mediava. Non ha mai fatto un passo senza mia madre. Più volte gli ho chiesto di andare a vedere una mostra insieme, mi avrebbe fatto piacere, ma mi ha sempre risposto di no. Ho solo un ricordo piacevole della mia infanzia: io e mio padre giocavamo con i soldatini. Mi divertivo, ridevo.

In settimana vivevo da mia nonna perchè i miei genitori lavoravano. A volte capitava che anche il fine settimana lo trascorressi dai nonni. La mia casa non era quella dei miei genitori, non la sentivo mia. Anzi meno ci stavo meglio era. Piccola, piena di animali, di libri e di oggetti comprati nei loro tanti viaggi, quella casa mi angosciava e ancora oggi, mi fa lo stesso effetto.

Ricordo la mia infanzia, solo nella mia stanza a studiare. Lo studio era il mio lavoro e lo facevo bene. Sono sempre stato il più bravo della classe, forse questo dava senso alla mia esistenza, mi dava un ruolo, un motivo per andare avanti ed essere riconosciuto dai miei genitori. Ero molto bravo anche nello sport e coltivavo vari interessi, forse tutto questo mi rendeva interessante agli occhi delle ragazze e dei miei compagni. Mi ricordo settimane trascorse fuori dall'Italia per una vacanza studio, qui ero uno come tanti: non il più bravo nello studio, non il più bravo nello sport. Un senso di vuoto e di angoscia .. tornai a casa.

Ho trascorso la mia vita sui libri, speravo di raggiungere obiettivi importante ma non ci sono riuscito, mi sento di non valere, sconfitto, inadeguato e sento di aver deluso i miei genitori. Dal quell'immagine di me solo nella mia stanza sui libri, oggi non è cambiato nulla, lavoro in casa da solo, senza orari, senza colleghi con cui scambiare una battuta. Ma per me è tutto normale, è un suono di campana che conosco.

Non ho mai parlato delle mie esperienze ai miei genitori. Mi sono sempre gestito da solo i miei dubbi, le mie emozioni, le miei difficoltà, non vedevo in loro un punto di riferimento, qualcuno capace ed interessato ad ascoltare e a capirmi veramente. All'età di sei anni prendevo il pullman da solo e a sette anni viaggiavo da solo in treno. Se ci penso, anche oggi sono solo e mi gestisco in modo autonomo le mie cose, senza chiedere a nessuno. Penso che potrei disturbare, l'altro si sentirebbe in dovere di accompagnarmi, non lo farebbe per piacere. Perchè l'altro dovrebbe essere interessato a me? Perchè dovrebbe avere il piacere di stare con me? Esattamente come da bambino, non mi sentivo importante, speciale e nessuno mi ha mai dimostrato un vero interesse, ancora oggi ho le stesse sensazioni e pensieri. Quando incontro un conoscente tendo a non raccontare nulla di me, ma esprimo molto interesse nei suoi confronti, ponendogli tante domande. Il mio modo di interagire con le persone rispecchia esattamente l’idea che ho di me stesso, una persona poco interessante e stimolante. Quindi perché parlare di me?

Vivo da solo senza una compagna, ho sempre pensato di non essere interessante per una donna, cosa potrei offrire?

Con la terapia, mi sto rendendo gradualmente conto che in realtà NON E’ VERO CHE NON VADO BENE e che NON SONO INTERESSANTE , ma questa è l’idea inconsapevole che si può generare in un bambino lasciato da solo da genitori non capaci di trasmettere interesse, amore e attenzioni, a causa delle loro caratteristiche (freddezza) e per le loro difficoltà (depressione).

Io dovevo, i piaceri non esistevano. Ho condotto una vita essenziale, ma non perchè mancassero i soldi, ma poche storie e bisognava andare avanti. Anche quando mi necessitava un paio di scarpe non venivano comprate, bisognava aspettare una ricorrenza per rinnovare il guardaroba. Mi ricordo che desideravo una giacca blu uguale a quella che indossavano i miei compagni, ma io dovevo continuare ad usare una vecchia giacca rossa. Ancor oggi questa è la mia vita, molto essenziale, non mi concedo quasi nulla, lo stretto necessario per andare avanti, nessun piacere, nessuno svago e non acquisto per il solo piacere di indossare un capo nuovo. Mi dico che è normale sono una persona semplice che non ha grosse pretese.

Nella mia vita attuale ho ricreato, senza esserne consapevole, una condizione di deprivazione emotiva e di abbandono, riproducendo così la mancanza di amore, attenzione e di vuoto che ha caratterizzato la mia infanzia.

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2009
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Starbene: mente-corpo

Dott.ssa Maria Narduzzo
Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Terapeuta EMDR
Docente dell'Istituto Watson
P.Iva 09100990010
Cell 3337130974
Vedi Attività


Riceve ad Orbassano
Studio Privato
Via Roma 47
www.psicologo-orbassano.it

Riceve a Torino
presso Studio Medico Crocetta
C.so Galileo Ferraris, 107
www.studiocrocetta.it
maria.narduzzo@gmail.com

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