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03.04.09

Mi sento solo, non interesso

07:30:06, Aree di intervento: Deprivazione emotiva  

Matteo

“Non so neanche perchè sono nato”, “Forse non sarei dovuto nascere”. Più volte ho chiesto a mia madre il perchè mi avesse messo al mondo, lei mi ha sempre risposto “è normale fare un figlio, lo fanno tutti”. Alla domanda “mi vuoi bene?” Seguiva la risposta: “certo che ti voglio bene, sei mio figlio”. Ma questa risposta non mi ha mai convinto.

Mia madre casalinga, depressa da sempre, fredda, non ricordo un abbraccio, un gesto carino, un momento in cui trascorrevamo del tempo insieme. Non era previsto. Lei era troppo presa dalla sua sofferenza e in generale dalle sue cose. Per lei era importante che io mi comportassi “bene”, mi ricordava cosa avrei dovuto dire o fare in una determinata circostanza e con determinate persone. Sono trascorsi 25anni, nulla è cambiato, mia madre è sempre depressa, si lamenta della sua sofferenza e di quanto sia brutto il mondo. I nostri rapporti sono sporadici e formali: un the consumato parlando del più e del meno, senza domande personali che mostrini interesse ed attenzione nei miei confronti. Sono abituato e non mi aspetto nulla.

Mio padre impiegato, passivo, per lui era importante che le cose andassero avanti senza grandi problemi, litigi e discussioni. Mediava. Non ha mai fatto un passo senza mia madre. Più volte gli ho chiesto di andare a vedere una mostra insieme, mi avrebbe fatto piacere, ma mi ha sempre risposto di no. Ho solo un ricordo piacevole della mia infanzia: io e mio padre giocavamo con i soldatini. Mi divertivo, ridevo.

In settimana vivevo da mia nonna perchè i miei genitori lavoravano. A volte capitava che anche il fine settimana lo trascorressi dai nonni. La mia casa non era quella dei miei genitori, non la sentivo mia. Anzi meno ci stavo meglio era. Piccola, piena di animali, di libri e di oggetti comprati nei loro tanti viaggi, quella casa mi angosciava e ancora oggi, mi fa lo stesso effetto.

Ricordo la mia infanzia, solo nella mia stanza a studiare. Lo studio era il mio lavoro e lo facevo bene. Sono sempre stato il più bravo della classe, forse questo dava senso alla mia esistenza, mi dava un ruolo, un motivo per andare avanti ed essere riconosciuto dai miei genitori. Ero molto bravo anche nello sport e coltivavo vari interessi, forse tutto questo mi rendeva interessante agli occhi delle ragazze e dei miei compagni. Mi ricordo settimane trascorse fuori dall'Italia per una vacanza studio, qui ero uno come tanti: non il più bravo nello studio, non il più bravo nello sport. Un senso di vuoto e di angoscia .. tornai a casa.

Ho trascorso la mia vita sui libri, speravo di raggiungere obiettivi importante ma non ci sono riuscito, mi sento di non valere, sconfitto, inadeguato e sento di aver deluso i miei genitori. Dal quell'immagine di me solo nella mia stanza sui libri, oggi non è cambiato nulla, lavoro in casa da solo, senza orari, senza colleghi con cui scambiare una battuta. Ma per me è tutto normale, è un suono di campana che conosco.

Non ho mai parlato delle mie esperienze ai miei genitori. Mi sono sempre gestito da solo i miei dubbi, le mie emozioni, le miei difficoltà, non vedevo in loro un punto di riferimento, qualcuno capace ed interessato ad ascoltare e a capirmi veramente. All'età di sei anni prendevo il pullman da solo e a sette anni viaggiavo da solo in treno. Se ci penso, anche oggi sono solo e mi gestisco in modo autonomo le mie cose, senza chiedere a nessuno. Penso che potrei disturbare, l'altro si sentirebbe in dovere di accompagnarmi, non lo farebbe per piacere. Perchè l'altro dovrebbe essere interessato a me? Perchè dovrebbe avere il piacere di stare con me? Esattamente come da bambino, non mi sentivo importante, speciale e nessuno mi ha mai dimostrato un vero interesse, ancora oggi ho le stesse sensazioni e pensieri. Quando incontro un conoscente tendo a non raccontare nulla di me, ma esprimo molto interesse nei suoi confronti, ponendogli tante domande. Il mio modo di interagire con le persone rispecchia esattamente l’idea che ho di me stesso, una persona poco interessante e stimolante. Quindi perché parlare di me?

Vivo da solo senza una compagna, ho sempre pensato di non essere interessante per una donna, cosa potrei offrire?

Con la terapia, mi sto rendendo gradualmente conto che in realtà NON E’ VERO CHE NON VADO BENE e che NON SONO INTERESSANTE , ma questa è l’idea inconsapevole che si può generare in un bambino lasciato da solo da genitori non capaci di trasmettere interesse, amore e attenzioni, a causa delle loro caratteristiche (freddezza) e per le loro difficoltà (depressione).

Io dovevo, i piaceri non esistevano. Ho condotto una vita essenziale, ma non perchè mancassero i soldi, ma poche storie e bisognava andare avanti. Anche quando mi necessitava un paio di scarpe non venivano comprate, bisognava aspettare una ricorrenza per rinnovare il guardaroba. Mi ricordo che desideravo una giacca blu uguale a quella che indossavano i miei compagni, ma io dovevo continuare ad usare una vecchia giacca rossa. Ancor oggi questa è la mia vita, molto essenziale, non mi concedo quasi nulla, lo stretto necessario per andare avanti, nessun piacere, nessuno svago e non acquisto per il solo piacere di indossare un capo nuovo. Mi dico che è normale sono una persona semplice che non ha grosse pretese.

Nella mia vita attuale ho ricreato, senza esserne consapevole, una condizione di deprivazione emotiva e di abbandono, riproducendo così la mancanza di amore, attenzione e di vuoto che ha caratterizzato la mia infanzia.

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Starbene: mente-corpo

Dott.ssa Maria Narduzzo
Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
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Docente dell'Istituto Watson
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