Archivi per: Agosto 2007

08.08.07

Cura del Disturbo d’Ansia generalizzata (GAD) mediante la Terapia Cognitivo Comportamentale

14:25:55, Aree di intervento: Disturbo d'Ansia Generalizzata  

La terapia cognitiva comportamentale può essere impiegata con successo nella cura del GAD, con o senza l’aggiunta di ansiolitici. Il trattamento prevede l’utilizzo delle seguenti tecniche: fase psicoeducazionale, ristrutturazione cognitiva, tecniche di controllo dei sintomi, esposizione alla preoccupazione, modifica del comportamento, applicazione delle abilità acquisite tramite simulate.

1) PSICOEDUCAZIONE

Nella fase psicoeducazionale vengono fornite informazioni sui sintomi che caratterizzano il Disturbo D’Ansia Generalizzata e il suo trattamento. Questa fase serve per raggiungere diversi obiettivi:

· riteniamo che la conoscenza sia un fattore importante per il cambiamento. Può capitare che ai pazienti, che si sono presentati per il trattamento, non fosse mai stata comunicata una diagnosi e avessero spesso concetti errati del loro disturbo (per es.: che l’ansia portasse alla psicosi) e malintesi circa le comuni risposte fisiologiche ed emotive della preoccupazione e dello stress (per es. che tutte le preoccupazioni siano negative o che un aumentato ritmo cardiaco significa un probabile attacco di cuore).
· La psicoeducazione può essere molto rassicurante; un paziente si può sentire meglio semplicemente sapendo che anche altre persone presentano il suo stesso problema. Alcuni pazienti possono trarre grande sollievo dal sapere che le loro esperienze non sono infrequenti, che ci sono conoscenze sulle origini, sulla manifestazione del GAD e che esistono terapie specifiche ed efficaci per superare le loro difficoltà.
· Le informazioni circa il trattamento aumentano la motivazione, perché i pazienti capiscono l’importanza e le finalità di ciascuna tecnica utilizzata. Lo sviluppo di aspettative realistiche in merito al trattamento, compresa la durata, la frequenza degli incontri e il lavoro da svolgere a casa, possono aumentare l’adesione al programma di trattamento.
· Presentare il ruolo del paziente come ruolo attivo contribuisce anche a costruire il rapporto di collaborazione, che è un pilastro portante dell’approccio cognitivo-comportamentale.
· Raccomandiamo che la psicoeducazione sia fornita prima in forma scritta (per es.: tramite depliant) e poi proseguita in seduta. Durante gli incontri, vengono date risposte alle domande e le informazioni dovrebbero fare riferimento alle esperienze personali del paziente.

2) TERAPIA COGNITIVA: RISTRUTTURARE LA PREOCCUPAZIONE
La preoccupazione è un processo prevalentemente cognitivo e la terapia cognitiva è una strategia efficace per ristrutturare la preoccupazione. I pazienti con disturbi d’ansia, ed in particolare con GAD, sopravvalutano le probabilità di eventi negativi (è in ritardo, per cui sarà successo sicuramente qualcosa di brutto) e sottovalutano la loro capacità di far fronte alle situazioni difficili (Beck e colleghi, 1985). Queste ‘distorsioni cognitive’ possono giocare un ruolo importante nell’attivare e mantenere il circolo vizioso dell’ansia ed accentuano nel paziente le sensazioni di pericolo e di minaccia. Perciò la terapia cognitiva ha l’obiettivo di lavorare sul sistema di valutazione della persona e guidarla verso un modo di pensare più realistico e logico.

La ristrutturazione cognitiva comporta diverse fasi :
1. Inizialmente la ristrutturazione cognitiva (Beck, 1995) ha l’obiettivo di identificare i pensieri automatici negativi. Tali pensieri possono creare, accrescere e mantenere l’ansia se in loro è contenuta un’informazione con un tema legato al pericolo. Perciò al paziente viene insegnato ad osservare i propri pensieri nel momento dell’ansia (o subito dopo). L’obiettivo è aumentare la consapevolezza della persona sui pensieri che possono attivare e mantenere l’ansia.

I pensieri automatici possono essere identificati tramite il diario:
la persona, ogni volta che si sente ansiosa, scrive su un diario a colonne, la data, l’ora di inizio, l’ora di fine, il luogo, l’evento (scatenante), il valore medio dell’ansia [da 1 (minimo) a 8 (estremamente preoccupante)], il valore medio della depressione (1-8), i pensieri e i comportamenti messi in atto. La persona può monitorare la propria esperienza su un unico foglio di carta che comprenda tutta la settimana, oppure annotare separatamente una situazione o un giorno alla volta. E’ consigliabile monitorare tutto subito dopo l’esperienza di ansia o al più a fine giornata, per evitare di trascrivere a distanza di tempo in base al ricordo, ricostruendo così in modo poco preciso. E’ importante far comprendere al paziente la relazione esistente tra i pensieri, le emozioni ed i comportamenti, proprio perché le preoccupazioni attivano determinate risposte emozionali e mantengono il problema all’interno di un circolo vizioso che si autoalimenta.

2. Dopo aver identificato i pensieri automatici negativi, verranno considerate le prove a favore o contro.
3. Potranno essere pianificati esperimenti/prove comportamentali per testare la validità dei pensieri automatici.
4. Il paziente ed il terapeuta svilupperanno un pensiero alternativo più realistico, basato sull’evidenza. Tale pensiero razionale sarà utili per contrastare e sostituire quello iniziale che provocava l’ansia.
5. Successivamente vengono individuate le distorsioni cognitive. Sono state individuate distorsioni cognitive comuni nei pazienti con GAD: sopravvalutazione delle probabilità, catastrofismo, ed il pensiero tutto-o-nulla [(bianco-o-nero) – A.T. Beck e colleghi, 1985; Brown e colleghi, 1993].

Per esempio, un paziente afferma che è preoccupato di non riuscire a pagare l’affitto in tempo perché pensa che l’assegno del suo stipendio arriverà in ritardo con la posta. Il terapeuta dovrebbe far valutare al paziente le probabilità di non pagare l’affitto, basandosi sulle precedenti esperienze nella ricezione dello stipendio, valutare le conseguenze di un ritardo nel pagamento dell’affitto e valutare la sua convinzione che essere in ritardo di 1 giorno è come non pagarlo. Così una sola preoccupazione contiene tutte e tre le categorie di distorsioni.

3) TECNICHE DI CONTROLLO DEI SINTOMI

Le tecniche di controllo dei sintomi sono utili per avere sollievo dal disagio dovuto all’ansia.
La persona impara a gestire la sua ansia attraverso il rilassamento muscolare progressivo di Jacobson, che consiste nel contrarre e nel rilassare sistematicamente i vari gruppi muscolari.
A volte i pazienti possono reagire con ansia al rilassamento, temendo una “perdita di controllo”. È importante, quindi, spiegare al paziente la differenza tra l’ipnosi ed il rilassamento. L’obiettivo del rilassamento muscolare progressivo è la consapevolezza delle sensazioni fisiche; la persona impara a percepire lo stato di tensione del muscolo contratto e del muscolo che successivamente si rilassa. L’ipnosi ha, invece, come obiettivo il raggiungimento di uno stato di trance. Questo sarebbe controproducente nel trattare il GAD perché la preoccupazione già distrae questi pazienti dagli stati spiacevoli. Il nostro obiettivo è facilitare l’esposizione agli stimoli che inducono l’ansia, non l’evitamento.
Anche la respirazione lenta diaframmatica può essere usata per ottenere benefici. Si insegna al paziente ad inspirare con il naso mentre la pancia si gonfia e ad espirare lentamente dalla bocca e la pancia si sgonfia.
La distrazione è un’altra tecnica che può essere impiegata nel breve termine, nel trattamento del GAD. Per esempio, al paziente può essere insegnato a mantenere la concentrazione su elementi dell’ambiente circostante, per distogliere l’attenzione selettiva dai propri sintomi e dalle proprie preoccupazioni. La distrazione può essere uno strumento efficace quando il paziente GAD si è “bloccato” in uno stato di preoccupazione e bisogna interrompere i pensieri che creano ansia.

Visualizzare immagini rilassanti può aiutare il paziente a contrastare l’ansia e a focalizzare la propria attenzione su qualcosa di piacevole.

Ai clienti viene chiesto di esercitarsi due volte al giorno nell’applicazione di tali tecniche, per rafforzare la loro capacità di creare una risposta di rilassamento utile per contrastare e gestire l’ansia. Questo comporta l’applicazione delle tecniche:
· ogni qualvolta essi percepiscono incipienti segnali interni od esterni (es.: preoccupazione),
· prima, durante e dopo eventi stressanti,
· frequentemente durante il giorno anche quando le persone non sono ansiose.
Il terapeuta può presentare diverse strategie di controllo dei sintomi, per consentire al paziente di scegliere quella che ritiene più efficace.

4) ESPOSIZIONE ALLA PREOCCUPAZIONE

Una tecnica che è stata recentemente sviluppata è l’esposizione alla preoccupazione. La persona crea immagini vivede di ciò che lo preoccupa, imparando a rilassarsi.

Per ciascuno scenario, al paziente è chiesto di evocare vividamente l’immagine e rimanere concentrato su di essa per 25-30 minuti. Seguendo tale tecnica per immagini, al paziente è chiesto di dar vita ad altri possibili comportamenti per affrontare la stessa situazione.

5) MODIFICAZIONE COMPORTAMENTALE

L’obiettivo della terapia cognitivo comportamentale riguarda il cambiamento dei comportamenti che contribuiscono a sviluppare e a mantenere l’ansia.

1. ridurre i comportamenti negativi che aiutano a diminuire, anche se temporaneamente, l’ansia. Proprio nel momento in cui la persona si preoccupa, deve monitorare i suoi pensieri: cioè capire cosa la preoccupa ed individuare i comportamenti o gli evitamenti che mette in atto per sentirsi meno ansiosa. Successivamente imparerà ad esporsi alla situazione ansiosa, aspettando un po’ di tempo o non emettendo affatto il comportamento rassicurante (dilazione e prevenzione della risposta, tecniche utilizzate nel trattamento del disturbo ossessivo compulsivo). Esempio della mamma che prova particolare ansia e tensione quando il figlio tarda a rientrare. Vorrebbe subito telefonare al cellulare pur di avere notizie ed abbassare così il suo livello di ansia. La persona impara gradualmente ad aspettare prima di telefonare: prima aspetta 5 minuti, poi 10 e via via aumenta sempre di più il tempo. Nel momento in cui la persona si astiene da tali comportamenti, può usare le tecniche di controllo dei sintomi per far fronte alla preoccupazione: rilassamento, respirazione lenta diaframmatica, modifica del dialogo interno utilizzando pensieri più razionali,…. Durante l'attesa la persona impara a distrarsi leggendo un libro, si fa la doccia o altro.

2. Il terapeuta può anche insegnare alla persona a programmare la sua preoccupazione: nel momento in cui la persona inizia a preoccuparsi, impara a bloccare il flusso dei pensieri e a posticiparli. "ci penso dopo, lo faccio durante la pausa".
Questa tecnica è impiegata per ridurre il tempo complessivo di preoccupazione, concentrando la preoccupazione in un unico periodo di tempo, del quale viene poi sistematicamente ridotta la lunghezza. La programmazione della preoccupazione può anche essere utile perché consente di eliminare la preoccupazione durante quei periodi di tempo nei quali può essere di ostacolo (per es.: sul lavoro, a letto).

3. Bloccare il pensiero per es.: interrompere una preoccupazione indesiderata dicendo “stop” o con altre modalità distrattive efficaci è una tecnica utilizzabile per eliminare la preoccupazione che si presenta in momenti inopportuni.

6) SIMULATE: USO DELLA VISUALIZZAZIONE ED ESPOSIZIONI IN VIVO PER APPLICARE LE ABILITÁ ACQUISITE

Durante la terapia la persona impara tecniche utili ed efficaci per risolvere i problemi che si presentano, gestire il proprio tempo, agire in base alle priorità e agli imprevisti, fare le giuste scelte.

All’inizio della terapia, il paziente può avere difficoltà nel ricordare ed applicare le abilità imparate, utili per contrastare l’ansia. Di conseguenza, è importante provare queste strategie simulando, durante le sedute, delle situazioni di vita quotidiana che abitualmente attivano l’ansia. L’obiettivo che si vuole raggiungere è allenare la persona.

· Dopo avere creato uno stato di rilassamento, viene chiesto al paziente di visualizzare una situazione che induce ansia per poi applicare le tecniche: la persona può rilassarsi ed utilizzare modi più corretti di percepire, interpretare e prevedere la situazione stessa.
· Il paziente può esporsi in vivo alle situazioni ansiogene ricreate durante la seduta, per utilizzare le tecniche.

Al termine di ogni prova verranno discusse le eventuali difficoltà riscontrate. Occorre tenere in considerazione che il Disturbo d’Ansia Generalizzata non è caratterizzato da una serie limitata di situazioni temute; in verità, i clienti spesso riferiscono di preoccuparsi di tutto o di cose di poco conto che si presentano nella vita quotidiana. Può risultare difficile e laborioso prendere in considerazione tutte le situazioni e le relative preoccupazioni.

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07.08.07

I familiari come possono aiutare il parente che soffre di panico?

14:11:11, Aree di intervento: Attacco di panico  

Il lavoro con i familiari

Quando una persona soffre di attacco di panico, questa condizione può incidere sull’intera famiglia.

Vi possono essere pazienti che, pur sperimentando frequentemente delle crisi di panico, mantengono una discreta indipendenza, altri persone, invece, vivono una drastica limitazione della loro autonomia. Sono pazienti, che spaventati dalle sensazioni somatiche che avvertono, hanno evitato sempre di più le situazioni, vivendo relegati a casa, totalmente dipendenti dai familiari.

I membri della famiglia possono andare incontro a sentimenti di frustrazione in quanto i loro tentativi di aiutare il parente non hanno successo, si sentono sovraccarichi di responsabilità e socialmente isolati. Spesso i familiari non accettano, non credono che il loro parente che, fino a qualche tempo prima era autonomo ed efficiente, abbia difficoltà ad uscire di casa o a rimanere da solo per qualche ora. L’incredulità può trasformarsi in fastidio, rendendo tesi e conflittuali i rapporti. I familiari non comprendendo pienamente lo star male del loro parente, possono pretendere da lui che riprenda la vita che aveva precedentemente condotto, forzando i tempi ed esponendolo a situazioni soggettivamente ansiogene e pericolose. Il paziente non si sente capito ed aiutato e tutto ciò può incidere negativamente sul suo umore.

La famiglia dovrebbe incoraggiare il parente con attacchi di panico a cercare l’aiuto di un esperto qualificato nella terapia del disturbo. Inoltre, potrebbe essere utile per i familiari assistere ad alcune sedute di trattamento o a partecipare ai gruppi di sostegno ai familiari, organizzati secondo un ottica cognitiva comportamentale.

Un approccio basato fin dall’inizio su una comunicazione chiara tra il terapeuta, il paziente e i familiari costituisce la base per una migliore prognosi. I familiari potranno supportare il parente durante i momenti di sconforto, incoraggiarlo a svolgere i compiti a casa. Il familiare, di cui il paziente ha fiducia, diventerà il co – terapeuta, che permetterà una graduale esposizione alle situazioni temute, che solo successivamente il paziente effettuerà da solo.

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Obiettivi della terapia cognitiva comportamentale per la cura del panico

13:17:56, Aree di intervento: Disturbo di Panico, Attacco di panico  

La terapia cognitivo comportamentale è particolarmente tecnica, pratica ed altamente riabilitativa. Parte inizialmente dai sintomi dell'ansia che spaventano la persona, al fine di eliminarli.

Il trattamento cognitivo comportamentale non tende alla soppressione dei sintomi. Durante le sedute, infatti, vengono provocati, attraverso tecniche di esposizione interoccettiva, i sintomi che il paziente solitamente avverte e teme durante gli attacchi di panico. Il paziente comprende e dimostra a se stesso che i sintomi non sono pericolosi e ciò permette di smantellare false credenze che la persona ha appreso e mantiene (posso svenire, morirò, mi verrà un ictus, mi verrà un infarto, ... ), si riduce sia l’ansia anticipatoria di avere un altro attacco di panico che l’intensa paura iniziale legata ai sintomi. La persona impara che l'ansia non è dannosa, nè pericolosa, ma anzi gestibile.

La persona che soffre di attacchi di panico impara gradualmente ad affrontare le situiazioni temute che aveva evitato o affrontato con disagio (esposizioni comportamentali). Si verifica un processo di apprendimento, in cui la persosa comprende che non è la situazione di per se ad essere pericolosa, ma è il suo modo di vivere le situazioni stesse a causare l'ansia. Persone che avevano evitato, per anni, il pullman, la coda nei supermercati, i luoghi affollati, ..., imparano ad affrontarli con serenità e sicurezza. Tale tecnica permette di modificare il dialogo interno del paziente, che riguarda il modo di vivere, interpretare e dare significato agli eventi. I pensieri iniziali “sto per avere un attacco di panico”, “sto per svenire”, vengono sostituiti con altri pensieri più razionali “è solo un po’ di ansia”.

Il cambiamento del dialogo interno non è dovuto alla semplice sostituzione di un pensiero con un altro. Solo dopo che la persona ha provato e dimostrato a se stessa che le paure iniziali non si verificano, è in grado di modificare le errate credenze e acquista, inoltre, sicurezza.

La ristrutturazione cognitiva ha l’obiettivo di identificare i pensieri automatici del paziente e successivamente identificare e modificare le credenze errate relative alle interpretazioni erronee, per determinare anche cambiamenti a livello emotivo e comportamentale.

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Terapia farmacologica per il trattamento del disturbo di panico

13:01:24, Aree di intervento: Disturbo di Panico, Attacco di panico  

I farmaci efficaci ed utilizzati per la cura del disturbo di panico sono: gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (ISRS): citalopram, fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, sertralina; gli antidepressivi triciclici (ADT): clorimipramina e imipramina; le benzodiazepine (BZD): alprazolam, clonazepam, diazepam, lorazepam e gli inibitori delle monoamino-ossidasi (IMAO): fenelzina, tranilcipromina.

Il trattamento farmacologico del disturbo di panico risulta efficace nel ridurre l’intensità e la frequenza degli attacchi di panico spontanei e/o situazionali e nel ridurre, inoltre, l’ansia anticipatoria e le condotte di evitamento. La persona acquista maggior sicurezza perchè avverte meno sintomi ed inizia ad affrontare le situazioni che aveva evitato.

In alcuni casi, però, il comportamento agorafobico permane. Inoltre, durante il trattamento farmacologico il paziente può comunque avvertire i sintomi dell'ansia e soprattutto al termine del trattamento, tali sintomi possono ricomparire, lasciando la persona in preda al panico per la paura che possa capitargli qualcosa di pericoloso.

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Efficacia della terapia cognitivo comportamentale per il trattamento del disturbo di panico

12:53:47, Aree di intervento: Disturbo di Panico, Attacco di panico  

In accordo con il National Institute of Mental Health (1993), numerose ricerche hanno dimostrato l’efficacia della terapia cognitiva comportamentale per il trattamento del disturbo di panico con o senza agorafobia (Otto MW et al., 2004; Starcevic et al., 2004; Kenardy et al., 2003; Barlow, Gorman, Shear e Woods, 2000; Otto, Pollack e Maki, 2000; Stein et al., 2000; Hofmann e Spiegel 1999; Loerch, 1999; Sharp, 1996; Klosko, 1995; Black, 1993; Beck, Sokol, Clark, Berchick, Wright, 1992; Craske, Brown, Barlow, 1991; Klosko, Barlow, Tassinari e Cerny, 1990; Michelson et al., 1990; Barlow, Craske, Cerny e Klosko, 1989; Sokol et al., 1989; Barlow, 1988; Clark, Salkovskis et al., 1988; Ost, 1988; Salkovskis et al., 1986; Clark, Salkovskis, Chalkley, 1985).

Inoltre, studi di meta analisi (Otto, 2001; Gorman et al, 1998; Gould et al., 1995; Clum et al., 1993; Mattick, 1990) e di analisi delle variabili predittive sottolineano la presenza di numerosi rilievi sperimentali che propongono la TCC come una terapia efficace per il trattamento del disturbo di panico. Per esempio, in una ricerca di meta analisi, Gould, Otto e Pollack (1995) esaminarono i risultati ottenuti in studi controllati su TCC pubblicati tra il 1974 e il 1994. Gli autori evidenziarono l’efficacia del trattamento cognitivo comportamentale, comparando i risultati ottenuti rispetto a quelli della lista di attesa.

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03.08.07

Cura degli Attacchi di panico: la Terapia Cognitiva - Comportamentale

17:27:32, Aree di intervento: Attacco di panico  

Il trattamento cognitivo – comportamentale per il disturbo di panico consiste in una combinazione di tecniche sia cognitive che comportamentali e comprende:
fase psicoeducazionale, addestramento alla respirazione e al rilassamento muscolare, ristrutturazione cognitiva, esposizioni interocettive, esposizioni alle situazioni temute per pazienti che presentano comportamenti di evitamento agorafobico.

Il trattamento si attua in 12 -15 sedute sia in terapia individuale che di gruppo.

Fase Psicoeducazionale

In una prima fase, il trattamento prevede un intervento psicoeducazionale, in cui il terapeuta spiega al paziente le cause, i sintomi e le conseguenze del disturbo di panico. Spesso le persone non sanno esattamente qual è il loro disturbo e come si caratterizza. Conoscere tranquillizza la persona interessata.
E’ importante informare il paziente del ruolo negativo che riveste l’attenzione selettiva alle sensazioni fisiche. Le persone che soffrono di panico sono sempre “sul chi va là”. Che cosa vuol dire? Vuol dire che non si rilassano e non si concentrano su ciò che li circonda, perché impegnati a controllare il proprio corpo per percepire i minimi segnali. Questo stato di continua allerta non può che creare ansia ed innescare i sintomi del panico.

Le persone con panico hanno paura dei sintomi fisici che avvertono e tendono alla catastrofizzazione, ciò pensano al peggio, alle cose peggiori: ictus, infarto, svenimenti, morte. In realtà sono convinzioni e paure sbagliate e senza fondamento. Provate solo a pensare alla paura di svenire. Solitamnente si sviene quando la pressione è bassa. Chiedetevi, allora, com’è la vostra pressione quando siete ansiosi. Alta. Fisiologicamente, quindi, non si può svenire. Ma le persone sono convinte e terrorizzate dal fatto che possano svenire e condizionano la propria vita.

Una corretta decodifica dei fenomeni fisiologici erroneamente interpretati dal paziente ed una riattribuzione del giusto significato degli stimoli, attraverso spiegazioni e informazioni precise, porta con frequenza al miglioramento dei sintomi.

Identificando uno specifico e recente attacco di panico si può ricostruire, insieme al paziente, la sequenza circolare delle sensazioni, dei pensieri e delle emozioni, sottolineando che è il soggetto stesso che innesca il tutto perché particolarmente attento in modo selettivo alle proprie sensazioni corporee e le interpreta negativamente.

Inoltre, deve essere spiegato al paziente che le condotte di evitamento si strutturano nella maggioranza dei casi, per la tendenza ad associare gli attacchi di panico con situazioni e luoghi specifici in cui il paziente era stato male. L’evitamento consente di prevenire eventuali attacchi di panico, ma non rappresenta la soluzione del problema, al contrario, mantiene le varie paure. E’ importante, quindi, individuare ed elencare le situazioni temute ed evitate, associate alle reazioni di panico, che il paziente imparerà successivamente ad affrontare.

Rilassamento e respirazione addominale

Durante il trattamento la persona imparerà il rilassamento e a respirare correttamente, attraverso la respirazione diaframmatica .

Con il rilassamento muscolare progressivo viene insegnato al paziente a contrarre e a rilassare diversi gruppi muscolari, egli impara a percepire la tensione del muscolo contratto, rispetto a quando è rilassato. Ciò farà si che la persona non appena avverte tensione rilasserà il muscolo. Lo scopo del rilassamento è far sentire il paziente calmo e rilassato. Il rilassamento registrato su un nastro, permette di esercitarsi a casa.

E’ importante, inoltre, che la persona conosca il proprio ritmo respiratorio. Se respira troppo velocemente o profondamente, può involontariamente iperventilare e avvertire i classici sintomi dell’ansia: senso di svenimento, tachicardia, mancanza d’aria, ecc. Il paziente impara a respirare lentamente per ridurre l’ansia, riequilibrando la giusta concentrazione di ossigeno e anidride carbonica nel sangue. Il paziente inspira lentamente per tre secondi, gonfiando la pancia e poi espira lentamente per altri tre secondi, sgonfiando la pancia.

E’ importante spiegare alla persona che soffre di panico che l’ansia è una normale risposta fisiologica che si attiva in presenza di uno stimolo soggettivamente ansiogeno. I sintomi dell’ansia non sono pericolosi e durano pochi minuti. L’obiettivo è di istruire la persona e renderla consapevole della sua respirazione. Le persone che soffrono di panico, respirano cronicamente in modo sbagliato, anche quando non sono in ansia. In effetti, l’abitudine a respirare in modo scorretto è uno dei principali motivi che portano il soggetto, in un primo momento, a soffrire di attacchi di panico. Respirare in modo lento e profondo eviterà, quindi, l’iperventilazione e la conseguente attivazione dei sintomi ansiogeni.

Ristrutturazione cognitiva

E’ di comune osservazione nella persona con disturbo di panico la tendenza a ipervalutare le sensazioni somatiche, attribuendo ad esse un significato catastrofico. Catastrofizzare significa giungere subito alle conclusioni peggiori, senza possedere prove sufficienti. Il catastrofismo è altrimenti detto pensiero “e se …?” “E se fosse un attacco di cuore?”, “E se soffro fino a morire?” I pensieri catastrofici aggravano i sintomi fisici, che a loro volta rafforzano i pensieri catastrofici in un circolo vizioso che può mantenere il panico per ore, facendo vivere la persona nella paura che qualcosa di terribile possa capitare. L’obiettivo iniziale della ristrutturazione cognitiva è di identificare e controbattere le interpretazioni erronee dei sintomi ansiogeni.

Ai pazienti viene chiesto di compilare il diario del panico, che è una tecnica fondamentale per monitorare costantemente le sensazioni fisiche e mentali, le interpretazioni errate circa le conseguenze temute, i comportamenti protettivi, le situazioni evitate, la frequenza e l’intensità degli attacchi di panico. E’ importante rilevare ulteriori dettagli del quadro entro il quale si verificano gli attacchi di panico, cioè il giorno e l’ora. Tali informazioni permettono di evidenziare eventuali variabili che possono favorire l’aumento di fattori scatenanti l’attacco di panico. Per esempio, se il fattore scatenante riguarda la sensazione di capogiro nel corso della mattina, questo potrebbe essere indice di un abbassamento del livello di zucchero nel sangue, causa che dovrebbe essere discussa durante il corso del colloquio.

I diari dovrebbero essere scritti giornalmente dai pazienti come compito a casa, subito dopo un attacco di panico o al termine della giornata per una ricostruzione fedele dell’esperienza vissuta. Il diario verrà visionato dal terapeuta insieme al paziente, all’inizio di ogni incontro. Il diario incrementa la consapevolezza dell’interessato circa le sue risposte cognitive e comportamentali. Permette, inoltre, al terapeuta di identificare importanti informazioni su cui impostare il trattamento.

Durante il corso del trattamento, quando emergono le “prove di disconferma” delle credenze errate, tramite tecniche verbali e soprattutto comportamentali, viene aggiunta un’ulteriore colonna al diario: “risposta al pensiero negativo”. Se inizialmente, il paziente, alla sensazione di capogiro era solito dirsi “sverrò”, imparerà a sostituire tale pensiero negativo con la frase “mi gira solo la testa”, “è un sintomo dell’attacco di panico, ma non posso svenire”. Una valutazione del grado di convinzione, sulle conseguenze temute, prima e dopo queste risposte, offre al terapeuta importanti informazioni circa la capacità del paziente di modificare il proprio dialogo interno negativo e sulla presenza di credenze errate residue, che dovrebbero essere indagate e modificate.

Esposizione alle sensazioni corporee

Tra le tecniche di intervento comportamentale per il disturbo di panico, viene utilizzata l’esposizione alle sensazioni corporee o esposizione interocettiva, attraverso cui vengono riprodotte sensazioni molto simili a quelle normalmente provate e temute durante gli attacchi di panico. Le induzioni delle sensazioni di panico permettono di modificare le credenze relative alle interpretazioni erronee e sono tra i primi esperimenti che vengono proposti al paziente durante il trattamento.

Induzione di iperventilazione

L’iperventilazione consiste in rapidi respiri poco profondi e viene effettuata tendenzialmente restando in piedi. Tale tecnica è particolarmente efficace ed utilizzata per indurre una varietà di sensazioni simili a quelle provate durante un attacco di panico: capogiri, incremento del ritmo cardiaco, dissociazioni, modifiche visive, calore, formicolii alle mani, sensazioni di perdita di equilibrio, senso di soffocamento.

L’iperventilazione consente al paziente, con disturbo di panico, di verificare che le sensazioni fisiche e mentali che egli prova, di per sé non sono pericolose per la propria salute. Inoltre permette di smantellare false credenze che la persona ha appreso e mantiene. Egli verifica, quindi, che le conseguenze temute non si avverano. I pensieri iniziali “sto per avere un attacco di panico” “sto per svenire”, possono essere sostituiti con altri pensieri “è solo un po’ di ansia”. Attraverso tale modificazione degli schemi di pensiero, il paziente acquista sicurezza; si arresta, così, il circolo vizioso.

L’iperventilazione può essere eseguita da sola o in associazione con altre tecniche di disconferma.
Nel caso in cui il paziente teme che la sensazione di capo giro o di gambe molli possa determinare svenimento, l’iperventilazione e la richiesta di saltellare su un piede, o di camminare lungo una linea, dimostreranno che le conseguenze temute non si avvereranno.
L’attacco di panico o l’iperventilazione, non sembrano causare svenimento, perché durante un attacco di ansia, si verifica accellerazione cardiaca e aumento dei valori pressori. Ciò che causa svenimento è una drastica caduta della pressione sanguigna. In alcuni casi di fobia del sangue, le persone possono svenire quando si espongono alla situazione temuta. Ciò si verifica perché inizialmente vi è un aumento del ritmo cardiaco e della pressione sanguigna, seguito da un’improvvisa caduta della pressione stessa.

Compiti di esercizio fisico

Svolgere esercizi di attività fisica durante le sedute di trattamento, sono particolarmente utili nei casi in cui vengono evitati, e rappresentano una valida strategia per modificare alcune credenze relative ai problemi cardiaci, allo sforzo e alla resistenza fisica. Gli esercizi riguardano fare jogging, salire e scendere velocemente degli scalini, saltare la corda, pedalare sulla cyclette, eseguire saltelli,…, che possono essere usati da soli o in associazione con l’induzione di iperventilazione.

Per esempio, un paziente interpreta erroneamente la sensazione di palpitazione e di dolore al petto come il segnale di un imminente attacco cardiaco, provando la paura di poter morire. Per sconfermare tale credenza, viene chiesto al paziente di vivere la sua paura come un’ipotesi da verificare durante un’esposizione, in cui induciamo iperventilazione, riproducendo così gli stessi sintomi che egli prova durante un attacco di panico. Terapeuta e paziente verificano che di fatto non succede nulla. Per rafforzare tutto ciò, il terapeuta può far eseguire degli esercizi fisici, che tendenzialmente la persona non mette in atto per evitare sforzi. Le due tecniche possono essere usate anche simultaneamente, per cui mentre il paziente pedala, respira in modo tale da indurre l’iperventilazione, intensificando maggiormente i sintomi che la persona vive e teme durante un attacco di panico. Durante gli esercizi di esposizione alle sensazioni corporee, il terapeuta monitorizza i pensieri che si attivano automaticamente, le emozioni provate quantificandole da 0 a 100 e controlla se il paziente tende a mettere in atto comportamenti protettivi. Con esposizioni ripetute, i pazienti scoprono di non avere più paura dei sintomi.

Gli esercizi di iperventilazione e le attività fisiche non dovrebbero essere usati quando sussistono controindicazioni mediche: asma, pressione sanguigna alta, problemi cardiaci, gravidanza; il terapeuta dovrebbe richiedere esami specifici o consultare il medico di base, per verificare l’eventuale presenza di patologie.

Esposizione alle situazioni temute

Il trattamento comportamentale del disturbo di panico con agorafobia, consiste nell’esporre direttamente, “in vivo”, o indirettamente, in “immaginazione” il paziente alle situazioni che egli teme.

L’esposizione “in vivo” consente di ottenere risultati migliori e più rapidi rispetto a tecniche che si basano sul confronto in “immaginazione”. Il principio generale su cui si basa la tecnica dell’esposizione graduale in vivo è quello di far confrontare il paziente ripetutamente e per un lungo periodo di tempo allo stimolo fobico, fino a quando egli non si abitua. Il paziente impara, quindi, a tollerare l’ansia senza mettere in atto evitamenti o fughe fino a che l’ansia si riduce spontaneamente.

E’ importante programmare insieme con il paziente gli obiettivi da raggiungere a breve, a medio e a lungo termine, pianificando giornalmente le attività di esposizione. Solo un’esposizione costante e ripetuta, consente alla persona di abituarsi alle situazioni che sono per lui fonte di ansia. Gli obiettivi da raggiungere, devono essere definiti in termini precisi e non generici. Per esempio, l’obiettivo finale ”Diventare autonomi” dovrà essere reso più specifico: viaggiare tutte le mattine da solo sul pullman per andare a lavorare, fare la spesa da solo nel negozio vicino casa. Inoltre gli obiettivi dovranno essere misurabili, realistici, definiti nei tempi e rivolti all’azione .
Gli obiettivi dovranno essere concordati e condivisi dal paziente, all’interno di un contratto terapeutico, iniziando le attività di esposizioni a partire da ciò che è prioritario e importante per il paziente, da ciò che gli consentirà di riprendere il lavoro e una vita sociale normale. Dopo aver ottenuto i primi progressi, si chiederà al paziente di svolgere compiti più difficili. Inizialmente il terapeuta accompagnerà il paziente durante le esposizioni per poi gradualmente esporsi da solo. Il paziente apprende che l’ansia provata durante l’esposizione non è dannosa, ciò rinforza il comportamento di esposizione stesso. Egli impara a vivere le situazioni non come ostacoli insormontabili, ma traguardi da raggiungere, sviluppando un atteggiamento di sfida con se stesso. Alcuni pazienti possono essere poco motivati ad esporsi quotidianmente alle situazioni temute, perché hanno paura di stare. Possono chiedersi perché devono provare ansia, quando sarebbe meglio evitare completamente la situazione. Occorre, in questi casi, orientare i pazienti sui vantaggi che potranno ottenere risolvendo l’attacco di panico ed eliminando i comportamenti agorafobici, ricordando a loro che l’unica modalità per superare le paure, consiste nell’affrontarle in modo sistematico. Durante le esposizioni, la persona registra le attività quotidiane in un diario che il terapeuta riesamina durante la seduta.

Alla fine del trattamento dovranno essere affrontate tutte le situazione inizialmente temute ed evitate, non mettendo in atto comportamenti protettivi.

Se il programma non prevede che il terapeuta accompagni il paziente durante le esposizioni in vivo, le situazioni temute potranno essere immaginate nella mente del paziente, durante le sedute di trattamento. Inoltre, terapeuta e paziente preparano insieme schede di auto – esposizione che il paziente effettuerà come compito a casa.

Prevenire le ricadute

Negli ultimi due o tre incontri, il trattamento cognitivo e comportamentale del disturbo di panico, prevede di lavorare sulla prevenzione delle ricadute, che possono presentarsi dopo un periodo libero da attacchi di panico. Le ricadute non devono essere vissute dal paziente come passi indietro o insuccessi, ma fanno parte del processo di apprendimento, che sta alla base del superamento delle fobie. Le ricadute dovrebbero, invece, essere vissute come l’occasione nelle quali il paziente potrà esercitarsi nelle tecniche di coping, apprese durante il trattamento. Poiché le ricadute possono essere previste, occorre che terapeuta e paziente identificano potenziali aree problematiche che potrebbero presentarsi e pensano alle possibili soluzioni. Si potranno elencare frasi razionali e competitive, che il paziente potrà utilizzare per sostituire pensieri disfunzionali che possono attivare risposte fisiologiche. Occorre identificare eventuali credenze residue, non completamente smantellate e la presenza di comportamenti protettivi ed evitamenti messi ancora in atto dal paziente. Il trattamento si ritiene concluso quando il paziente è completamente libero da credenze erronee e dai comportamenti di evitamento.
Nella maggioranza dei casi, chi ha superato il disturbo, scopre che durante un occasionale attacco di panico, è in grado di gestirlo, perché ha acquisito sicurezza e una serie di strategie efficaci, che prima del trattamento non conosceva. Per alcuni pazienti possono essere previsti alcuni incontri psicoterapici per rinforzare le abilità precedentemente acquisite.

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Cosa si intende per agorafobia?

17:12:49, Aree di intervento: Agorafobia  

Il termine “agorafobia” deriva dalla parola greca agorà, con la quale si indicava la piazza del mercato.

In realtà i pazienti agorafobici non temono solo le piazze e i luoghi affollati, ma anche ascensori, ponti, supermercati, treni, autobus e molte altre situazioni nelle quali risulterebbe difficile allontanarsi o ricevere aiuto, qualora si verificasse un attacco di panico.

Le condotte agorafobiche sono determinate sia dall’evitamento di specifici luoghi e situazioni, per prevenire l’insorgenza di un nuovo attacco di panico, sia nella messa in atto di comportamenti protettivi e rassicuranti.

Per cui una persona può evitare completamente di andare al cinema, oppure non evita il luogo ma si siede in prossimità della porta per uscire subito e senza difficoltà. Altri pazienti evitano i luoghi affollati come il supermercato, altri, invece, si recano nei negozi di piccole dimensioni, evitano gli orari di punta, acquistano pochi prodotti per evitare di rimanere per troppo tempo in coda o per avere poco peso e ingombro da portare nelle mani, in caso di malessere. Alcuni pazienti evitano i pullman, altri salgono su quelli non affollati, rimangono vicini alle porte di uscita e possono sedersi o tenersi agli appositi sostegni per evitare di svenire.

Alcuni pazienti con disturbo di panico riferiscono di non avere problemi nell’uscire di casa. Analizzando, invece, in modo preciso, si possono evidenziare i comportamenti protettivi che la persona può mettere in atto nel tentativo di superare il timore della nuova crisi: impugnare l’ombrello o un bastone, la borsa della spesa con le ruote, la carrozzina dei bambini per appoggiarsi in caso di instabilità.

Alcuni portano con sè la boccetta dell’ansiolitico, una bottiglia di acqua, il cellulare sempre carico o le schede telefoniche per chiamare subito aiuto. Masticare il chewing – gum o tenere in bocca delle caramelle da succhiare, distoglie alcuni pazienti agorafobici dalle loro paure. E’ più semplice percorrere sempre lo stesso tragitto che si conosce bene, gli spostamenti per alcuni sono meno traumatici se prevedono il passaggio vicino alla casa di un amico, di un medico o di una stazione di polizia, in modo che, in caso di panico, l’aiuto sia prontamente disponibile Alcuni pazienti camminano rimanendo vicino al muro da usare come sostegno e sentono il bisogno di avere la possibilità di tornare velocemente a casa. Alcune persone si sentono meno a disagio quando è buio e si muovono più tranquillamente la sera rispetto al giorno, altri provano sollievo indossando occhiali scuri. Gli agorafobici possono aver paura delle altezze per cui preferiscono abitare in appartamenti al piano terreno, cioè evita, inoltre, di utilizzare l’ascensore. Vengono evitati gli intercity perché effettuano poche fermate, altri preferiscono utilizzare solo la loro macchina, altri ancora utilizzano la bici piuttosto che camminare a piedi.

Alcuni pazienti diventano completamente incapaci di uscire di casa da soli e possono farlo solo in compagnia di una persona rassicurante verso cui sviluppano un rapporto di dipendenza.

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La paura dei sintomi, le convinzioni errate e gli evitamenti in chi soffre di panico

14:39:52, Aree di intervento: Attacco di panico  

Chi soffre di panico è spaventato dai sintomi fisici che prova.

Se ad esempio la persona avverte giramento di testa, non dice semplicemente: "avrò mangiato poco!", "avrò la pressione bassa!". Pensa subito al peggio: ecco ci risiamo, sto male, mi verrà un attacco di panico, e se alla fine morirò di ictus?" La persona è convinta delle sue preoccupazioni, per cui mette in atto strategie per proteggersi.

Nella tabella sottostante, sono elencati alcuni sintomi provati e temuti da chi soffre di panico, le relative convinzioni sbagliate ed i comportamenti protettivi.

panico

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Cosa prova e come si sente una persona che soffre di fobia sociale?

13:37:43, Aree di intervento: Fobia Sociale  

“ … ansia, tensione, imbarazzo, rigidità, confusione, … , provo questi sintomi quando sono con altre persone.

La mattina evito di andare a fare colazione al bar con i miei colleghi. Ho paura di fare brutte figure: inizio a farmi mille domande “e se bevendo il caffè mi cade la tazzina per terra?”, “come verrò giudicato?”, Tutti lo noteranno e penseranno che sono una stupida.
Provo disagio quando sono dalla parrucchiere. Il dover rimanere in attesa per tanto tempo, mi crea agitazione: non riesco a stare ferma, voglio alzarmi, temo che qualcuno possa farmi delle domande a cui non so rispondere, allora guardo le riviste, così vedendomi impegnata nessuno mi rivolge la parola.

Cambio strada quando incontro qualche amico, non so cosa dire e temo il confronto con lui.

Aspetto vicino il portone di casa, pur di non salire in ascensore con un vicino di casa, proverei un forte disagio, starei con la testa bassa, rossa in viso e zitta.

Quando vado a scuola dai miei figli, arrivo giusto qualche minuto prima della chiusura, pur di evitare di incontrare le altre mamme.

Questa è la mia vita, sembro sempre di corsa, ma in realtà non devo andare da nessuna parte, non ho impegni, evito,evito,evito tutto e tutti."

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02.08.07

Tipi di fobia specifica

14:38:28, Aree di intervento: Fobia Specifica  


Tipo Animali. La paura viene provocata da animali o insetti. Questo sottotipo esordisce generalmente nell’infanzia.
Tipo Ambiente Naturale. La persona è terrorizzata da elementi dell’ambiente naturale, come temporali, altezze, acqua. Questo sottotipo esordisce generalmente nell’infanzia.
Tipo Sangue-Iniezioni-Ferite. La paura viene provocata dalla vista del sangue o di una ferita o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive.
Tipo Situazionale. Questa fobia riguarda la paura provata in una situazione specifica: mezzi di trasporti pubblici: metropolitana, pullman, treno, aereo; tunnel, ponti, ascensori, guidare o luoghi chiusi.
Altro Tipo. La paura viene scatenata da altri stimoli. Questi stimoli possono includere: la paura o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare, vomitare o contrarre una malattia; la fobia dello “spazio” (cioè l’individuo ha timore di cadere giù se è lontano da muri o altri mezzi di supporto fisico); e il timore nei bambini dei rumori forti o dei personaggi in maschera.

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Che cos’è la fobia specifica?

14:30:22, Aree di intervento: Fobia Specifica  

La Fobia Specifica è la paura marcata, persistente ed eccessiva di oggetti o situazioni chiaramente circoscritte e specifiche.

Quando la persona entra in contatto con l’oggetto della sua fobia, prova un’immediata risposta ansiosa. Questa risposta può prendere la forma di un attacco di panico.

Tendenzialmente lo stimolo fobico viene evitato, o affrontato con molto disagio.

Si può parlare di vera e propria fobia se l’evitamento, la paura o l’ ansia anticipatoria di affrontare lo stimolo fobico interferiscono significativamente con la routine quotidiana, il funzionamento lavorativo o la vita sociale della persona.

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Cosa prova e come si comporta una persona che soffre di depressione?

14:18:58, Aree di intervento: Disturbo dell'umore  

" ... La mattina è il momento peggiore. Penso alla giornata che dovrò affrontare, starò male e sicuramente non riuscirò a fare nulla. Faccio fatica a fare le cose, vorrei rimanere a letto e dormire così la giornata trascorre più velocemente. Ho perso il piacere di fare le cose: la musica è sempre stata una grande passione. Suono in un gruppo, scrivo i testi e canto, ma ultimamente non mi interessa, non mi da emozioni. Mi sento, inoltre, la testa vuota, non riesco a concentrarmi, non mi ricordo le cose. Vado in cucina e poi non mi ricordo perché sono li e cosa avrei dovuto fare. Mia moglie cerca di spronarmi, ma io mi sento ancora peggio. Non mi sento capito, provo rabbia e sensi di colpa..."

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Come fa la persona a capire se soffre di ansia generalizzata o di un altro disturbo?

14:10:35, Aree di intervento: Disturbo d'Ansia Generalizzata  

E’ chiaro che solo uno specialista può emettere una diagnosi di disturbo d’ansia generalizzata ed indicare in un secondo momento il trattamento più efficace da intraprendere. La persona con ansia può documentarsi, raccogliere informazioni sul proprio star male e capire che l’oggetto della sua preoccupazione, non riguarda la paura delle proprie sensazioni fisiche, di avere un altro attacco di panico, di morire, di perdere il controllo e di rimanere bloccati (come nel Disturbo di Panico), rimanere imbarazzati in pubblico, temere il giudizio degli altri (come nella Fobia Sociale), avere ossessioni e/o compulsioni (come nel Disturbo Ossessivo Compulsivo), essere lontani da casa o dai familiari più stretti (come nel Disturbo d’Ansia di Separazione), aumentare di peso (come nell’Anoressia Nervosa), avere una grave malattia (come nell’Ipocondria), avere molteplici fastidi fisici (come nella Somatizzazione).
L’ansia generalizzata è un’ansia costante che accompagna la persona nell’arco della sua giornata e che può acutizzarsi nei momenti di maggior stress. La persona che soffre di ansia generalizzata si preoccupa per tutto: la salute dei familiari, pagare una bolletta, rendimento scolastico dei figli, eventuali ritardi, …

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Starbene: mente-corpo

Dott.ssa Maria Narduzzo
Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Terapeuta EMDR
Docente dell'Istituto Watson
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